CON l’ostinazione e il coraggio di chi vuole penetrare nei territori più oscuri e dolenti, Massimiliano Governi prosegue nel suo viaggio al fondo della notte, là dove il male della vita fa più paura. Ne La casa blu ci rende testimoni di un lungo trasferimento in macchina di un padre e di un figlio. L’uomo vuole arrivare in Svizzera e entrare nella clinica dove i malati senza più speranza, i disperati, i depressi cronici scelgono di morire, assistiti da psicologi e medici. Padre e figlio parlano di tante cose, si raccontano, si ascoltano: il ragazzino non sa il fine di quel viaggio, è felice di passare qualche giorno in compagnia del padre. Tutto appare naturale e terribile. Non è un romanzo sulla morte dolce, come ha scritto qualcuno: è una discesa nel male di vivere, e per fortuna anche una risalita. Il romanzo è costruito interamente con le parole dei due protagonisti, e poi di un terzo uomo, malato terminale. Eppure il libro non è cupo, la consapevolezza diventa accettazione di ciò che si è, la dolce morte arretra davanti alla vita e al suo mistero da accogliere e amare.