Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

La notte di fuoco

Autore: Gabriele Ottaviani
Testata: Mangialibri
Data: 11 aprile 2016
URL: http://www.mangialibri.com/libri/la-notte-di-fuoco

“Da qualche parte mi attende il mio vero volto”. Eric avanza con la testa bassa, braccia e polpacci contratti, pollici infilati nella cintura, l’occhio fisso sui ciottoli della salita per evitare di cadere. Lo zaino è talmente pesante che appena le caviglie cedono un po’ perde l’equilibrio. “Da qualche parte mi attende il mio vero volto”. Quel pensiero cammina con lui, lancinante, regolare, alla stessa cadenza dei passi. Dopo un pranzo consumato in fretta e furia Eric e gli altri percorrono un sentiero che serpeggia in mezzo a blocchi addormentati e pietre che si ergono verso il cielo. Sebbene tortuosa, la pista mantiene un carattere naturale sposandosi ai rilievi e convertendo le gole in corridoi. Secoli e secoli d’uso l’hanno patinata. “Le porte del deserto!” ha annunciato Donald quando si sono messi in marcia. Ha indicato agli altri escursionisti un monte cosparso di rocce. Lì per lì Eric si è detto che, varcato quell’ostacolo, sbucheranno di certo su un terreno pianeggiante. Niente di più sbagliato! La parete di roccia ne nasconde una seconda, a cui ne segue un’altra, e un’altra ancora… Attraversano un massiccio che impiegano parecchie ore a superare. Deluso, rallenta l’andatura iniziale per adeguarsi al gruppo. Si forma dunque una specie di ordinata processione: Abayghur e i dromedari in testa, Donald a chiudere il corteo. “Da qualche parte mi attende il mio vero volto”. Come ha fatto, si chiede, quella frase a infilarsi con tanta pertinacia nel suo cervello?

È una storia vera, avvenuta nel febbraio del 1989. Sembra ieri, ma basti solo pensare che Berlino era ancora tagliata in due dal muro, per quanto in procinto di essere definitivamente abbattuto. Eric-Emmanuel Schmitt allora è un giovanissimo scrittore, non ha ancora trent’anni: in quel un gruppo di escursionisti c’è anche lui, pronto a partire da Tamanrasset, Algeria, per una spedizione di dieci giorni a piedi nel cuore del deserto del Sahara. Dieci europei, un tuareg e tre dromedari: sembra l’inizio di una barzelletta, a dire il vero. Tra l’altro, non si tratta di turisti qualunque: un regista, un astronomo, un geologo… L’autobiografia, comunque compiuta, precisa e interessante, così come il racconto di viaggio, intensa esperienza di vita, in un luogo dalle suggestioni uniche, quasi impossibili da descrivere compiutamente col solo strumento della parola, però, a un certo punto, cede il passo: Schmitt, con la consueta irresistibile e filosofica prosa, che sa parlare di ogni tema con semplicità, senza enfasi, e con grande tensione poetica e accenti lirici che lo avvicinano al multiforme equilibrio tematico della drammaturgia contemporanea, di cui è uno dei massimi esponenti, arriva a rapportarsi a Dio. Mettendone in scena, verrebbe da dire metaforicamente, il personaggio. Giunge a indagarne l’essenza, la trascendenza e l’immanenza, a ricercarlo nel mondo, perché ovunque è l’uomo lì esiste anche la sua anima, e la risposta alle sempiterne domande che si pone lo spirito, perché la vita non può essere solo quel che appare.