Misteriose scomparse e corpi ritrovati sconvolgono Venezia. Siamo nell'anno 1118 e, dopo il disastroso terremoto, dell'inverno precedente, la città è in preda a un terribile caos. E una città oscura, violenta, priva di una guida politica (il doge Falier, effettivamente, morì in battaglia a Zara la primavera di quell'anno, ndr), sconvolta dagli eccessi del "carnovale", ancora lontana da quella Serenissima repubblica, ricca e potente, che diventerà poi. Campi e campielli sono ricoperti d'erba, il Canal Grande ancora non esiste, anche se qualche imponente palazzo, in mezzo a case fatiscenti di legno e paglia, inizia a sorgere. E' in uno di questi, a Ca' Grimani, che lo scriba Edgardo, protagonista de La bottega dello speziale di Roberto Tiraboschi, ha trovato servizio. L'ex monaco, che ha abbandonato la veste per amore della schiava Kallis, si trova a indagare sulla scomparsa della giovane Costanza, della nobile famiglia dei Grimani. Accompagnato da un'insolita alleata, Magister Abella (unica donna ad esercitare la professione di medico in città), Edgardo si imbatte in fiolari gli antichi maestri vetrai speziali come il nano Sabbatai, che nella sua bottega tratta rarissime spezie e potenti droghe e strani mercanti orientali: molti sembrano coinvolti nella sparizione della fanciulla. Tutti inseguono l'illusione di sconfiggere la morte e il sogno di una rinascita. Le tessere di questo giallo servono a Tiraboschi per trascinarci in un mondo lontano, una Venezia medievale che non siamo abituati a immaginare e che raramente è stata raccontata. Con un filo della narrazione tenuto sempre ben teso, personaggi misteriosamente scomparsi che ritornano, una scrittura ricca che attinge molto al dialetto e all'antica toponomastica lagunare (e' è anche un utilissimo glossario in appendice) Tiraboschi si abbandona volentieri, e bene, al fascino della ricostruzione storica. Per ricordarci la sfida impossibile di costruire una città impensabile e unica.