Ci sono tanti scrittori in giro. Ce ne sono anche tanti bravi. Quelli che però fanno la differenza sono pochi. Dopo aver letto questo breve romanzo di Anna Pavignano, ho una certezza in più. Ho incontrato una scrittrice che fa la differenza. Siamo alle prese con un esempio lampante di come in Italia si possa parlare di certi temi senza sfociare nella noia ideologico-pseudo artistoide di certi scribacchini impegnati più a promuovere se stessi, o il partito che li foraggia, che l'eventuale tema di giustizia sociale in cui si calano morbosamente. Siamo in presenza, caso rarissimo ormai in questo Paese in cui gli editor e gli uffici stampa riscrivono completamente i romanzi per adeguarli agli standard di un fantomatico gusto del pubblico, di un esperimento linguistico eccezionale. Davvero d'altro tempi. Tempi in cui si osava. Tempi in cui le grandi case editrici pubblicavano Calvino e non Giordano o Lodoli.
Salvatore è un ragazzo di vent'anni. Vive su un'isola che potrebbe essere Ventotene, Ponza, Ischia, non importa. D'estate traghetta i turisti e d'inverno fa il muratore. La sua vita semplice e apparentemente monotona verrà travolta da due avvenimenti. L'incontro con Jessica, ragazza di ceto sociale medio alto di una lontana Genova, e un incidente sul lavoro in cui si troverà a salvare la vita al suo amico africano Atanganà.
Le cose si complicano, il cammino di Salvatore conoscerà nuove svolte (non solo in senso metaforico, sarà infatti assalito da una 'straordinaria' sindrome da perdita della capacità di camminare), l'arcaico mondo dei pescatori a cui appartiene verrà proiettato nella moderna dimensione della 'depressione', del malessere; di tutti quei nuovi sintomi che non potevano assalire generazioni ormai preistoriche (almeno non consapevolmente). E' però attraverso la lingua e le capacità di esperta dialoghista dell'autrice che il romanzo, come una ciliegina su una torta già gustosa, assurge a piccolo capolavoro. Anna è Salvatore. La narrazione infatti non solo è in prima persona ma è volutamente sgrammaticata, a tratti patetica a tratti esilarante, a tratti naif a tratti fulminante. Un lavoro difficilissimo, che è appartenuto ai grandi della letteratura del passato, rischiosissimo perché si può finire con l'essere non credibili e anzi presuntuosi e pretenziosi.
La prova, però, è stata superata alla grande. Le invenzioni linguistiche, le battute, i momenti di poesia leggera e di quella che può essere a ben donde definita come sensibilità femminile si armonizzano alla perfezione con la costruzione di un personaggio, Salvatore appunto, che è credibilissimo dal punto di vista maschile; psicologicamente, debolmente, astutamente ragazzo che tenta o dovrebbe farsi uomo.
Non può di certo passare inosservato il fatto che Anna Pavignano sia stata la co-sceneggiatrice dei più importanti film di Massimo Troisi. In alcuni momenti, la genialità, l'ilarità e la brillantezza che è stata caratteristica del grandissimo attore napoletano, la ritroviamo qui sparsa come una polverina magica, che a tratti ti solletica il naso, altri ti costringe a ricordare, a dare ragione a chi dice che la letteratura è morta e solo ogni tanto, in casi sporadici e imprevedibili, la si ritrova che vagola alla ricerca di aiuto. In bilico sul mare è uno dei romanzi più belli e intensi, a tratti commovente, che mi sia capitato di leggere ultimamente. Non è un caso che i suoi diritti d'autore siano già stati acquistati dal cinema, da un famoso regista di cui però non dirò il nome. Speriamo che non si rovini tutto, come al solito. Come sempre più spesso fa il cinema ormai. Costretto a far lavorare i soliti improbabili attori noti, e a trattare il pubblico come un branco di deficienti da pedagogizzare. Qui il rischio è alto. Perché il tema di fondo potrebbe essere quello del lavoro nero o delle morti bianche (non lo è ma potrebbe). E lo spauracchio di vedere una sinistra agonizzante cercare di farsi bella con le solite tematiche, rese stucchevoli e svilenti, è qualcosa in più di una sgradevole minaccia.
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