Un altro giornalista esordisce nella narrativa con “L’incantesimo delle civette” (Edizioni e/o, 2016) un romanzo di formazione intenso e commovente: Amedeo La Mattina, giornalista politico de La Stampa, dedica all’estate del 1967, quando il narratore Luca Lamanna aveva 14 anni, questa rievocazione dell’avvenimento che cambiò la vita degli abitanti di Partitico, un grosso paese poco distante da Palermo, scelto dal regista Damiano Damiani per girarvi il film “Il giorno della civetta”.
Nel sonnacchioso paese tormentato dallo scirocco, dove i ragazzi divisi in bande rivali se le danno di santa ragione per aggiudicarsi il possesso di uno spelacchiato campetto di calcio, al seguito di due capi rivali, il “signorino” Sasà e il proletario Maciste, quest’ultimo un gigante claudicante e per giunta con un occhio di vetro, arriva come una tempesta l’intera troupe cinematografica, che occupa tutto il paese: Franco Nero, noto come il pistolero Django, la strepitosa Claudia Cardinale, allora non ancora trentenne e nel massimo del suo fulgore fisico e professionale, Serge Reggiani, Lee Cobb, e poi produttori, elettricisti, truccatori, autisti, che ben presto rivoluzionano la vita di tutti i cittadini : chi presta la propria casa, che affitta il palazzo nobiliare, chi lavora come comparsa, chi partecipa in ogni modo alla ventata di novità che si abbatte come un ciclone.
Luca Lamanna, distratto e poco studioso, figlio di un medico severo e della maestra Lina, sarà investito totalmente dall’atmosfera elettrica formatasi attorno alle Civette, perché si innamorerà perdutamente della bella Claudia, che per giunta lo avvicina, lo chiama “occhi belli”, lo invita sul set, lo tratta con affetto e considerazione.
Ma mentre Luca e i suoi amici sono attratti come insetti dalle luci del set cinematografico, ignorando però le ragioni politiche del film, che Damiani ha tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia, la mafia locale, che si identifica in un vecchio religiosissimo e appartato, “il signuruzzu”, non gradisce la presenza del tema su cui si fonda il racconto:il capitano dei carabinieri che viene dal nord, Bellodi, interpretato dal fascinoso Franco Nero, rischia di destabilizzare il potere assoluto della mafia che, in quegli anni, ancora non era socialmente riconosciuta. La stessa parola mafia era quasi impronunciabile.
Fantasia e realtà si mescolano sapientemente nella testa del giovane Luca, alle prese con le tempeste ormonali proprie della sua età che si concentrano introno alla fascinosa e profumata Claudia, ma anche con la presa di coscienza che in Sicilia esiste un grave problema di cui per lo più si tace: la lettura del libro di Sciascia, trovato nella biblioteca paterna, la conoscenza della figura quasi mitica di Danilo Dolci, aprono al ragazzino le porte della consapevolezza, della scoperta del valore degli esempi: sua madre è maestra elementare, proprio come Sciascia, maestro a Recalmuto, che con i suoi libri vorrebbe insegnare ai siciliani il valore della conoscenza, della dignità, oltre alla cultura e all’impegno.
“Io? Ma per carità di Dio! Don Ciccio , io in vita mia non ho mai letto un libro! Ogni tanto leggo le notizie di cronaca locale sul giornale di Sicilia, quando lo trovo al bar Moka….per il resto mi faccio i cazzi…..mi scusasse tanto, Don Ciccio, volevo dire, gli affari miei”
Don Liborio, un personaggio nullafacente impomatato vorrebbe rendersi utile al signuruzzu Don Ciccio, per essere incluso tra gli "amici", vantandosi della sua totale indifferenza e ostentata incultura.
Siamo alla vigilia del ’68, le gonne delle ragazze diventano più corte e i capelli dei maschi si allungano, la libertà aumenta, il cinema irrompe prepotente a modificare le fantasie dei giovani, i loro stili di vita, anche in mezzo al clima mafioso che tutto permea: ad agosto però le riprese del film si spostano a Cinecittà, forse per le pressioni e le minacce fatte al regista? Luca verrà travolto dal dolore per la partenza di Claudia, dalla fine di un sogno, dalla paura di partecipare ad un gioco più grande di lui, infine da una broncopolmonite che lo isola per giorni da tutto. Al suo risveglio le cose saranno diverse, forse migliori,
“Le corna e il ballo di Don Mariano mi avevano portato lontano. Il libro del collega di mia madre mi aveva scavato dentro una trincea, come una ruga profonda in mezzo alla fronte, dove non c’è mai stato spazio per la danza macabra per tutti i Signuruzzi della terra”
Luca in pochi giorni ha imparato l’amore, le pulsioni sessuali, il valore della vera amicizia, la stima per la sua famiglia, l’importanza della cultura, l’impegno politico, la forza delle idee: tra una granita al limone con foglia di menta, in mezzo ai profumi della sua terra, con la parlata in dialetto stretto nelle orecchie, il ragazzo è diventato un uomo.