UN GIORNO di quasi trent'anni fa , lo scrittoore francese Eric-Emmanuel Schmitt si perse nel deserto del Sahara, tra le monragne nel sud dell' Algeria. Rimasto solo, senz'acqua né cibo, passò una notte a interrogarsi sulla vita e la morte. Fu una "notte mistica", durante la quale, lui, filosofo ateo e materialista, specialista di Diderot e dell'illuminismo- in quei giorni al lavoro per un film su Charles de Foucauld, mistico che ha vissuto anni in mezzo ai Tuareg- trovò la fede. In seguito a quella rivelazione, Schmitt decise di abbandonare la filosofia per imboccare la via della letteratura. Con il successo che tutti sappiamo, visto che oggi è uno scrittore conosciuto in tutto il mondo. Di quell'esperienza Schmitt non aveva mai parlato in pubblico, dato che la considerava "una questione privata". Oggi però rompe il si lenzio in un libro in arrivo nelle nostre librerie, "La notte di fuoco" (traduzione di Alberto Bracci Testasecca, edizioni e/o), che in Francia ha già venduto duecentocinquantamila copie
"Durante tutti questi anni il piccolo rivolo d'acqua che ho scoperto in mezzo al Sahara è diventaro un fiume, la mia fede si è fatta sempre più grande" , spiega l'autore di libri amatissimi dai lettori come "Piccoli crimini coniugali" o "La giostra del piacere" . .. Allora mi sono detto che potevo provare a testimoniare, ben sapendo che una testimonianza non serve a convincere. Con il libro volevo mostrare che la vita spirituale può sempre cambiarci. Io stavo benissimo nel mio ateismo, non ero alla ricerca di Dio. La rivelazione è stata una vera rivoluzione. E se mi sono deciso a raccontare questa esperienza, è anche perché oggi troppo spesso la vera fede è occultata dalla falsa fede, quella dei terroristi, dei fanatici e degli integralisti di ogni tipo. Di fronte alla loro fede violenta e bellicosa, volevo proporre una fede modesta e umile, assolutamente non arrogante né guerriera. La mia è una voce vera e fraterna. Forse è per questo che il libro è piaciuto sia ai credenti che agli atei"
Nella prima parte del libro, per altro, l'ateo che all'epoca era in lei combatte aspramente contro la religione.
«Ho cercato di mettere fede e ragione al proprio posto, perché non bisogna mai confondere "credere" e "sapere". Io oggi credo ma non so nulla di più di quando non credevo. La fede non è un modo di conoscenza ma un modo di abitare l'ignoranza. Non so se Dio esiste, però lo credo. Come Pascal. La mia è una fede cristiana, senza altre specificazioni, perché non m'interessano i riti. Sento un legame stretto con i Vangeli, ma anche con i libri delle altre tradizioni religiose. Mi sento quindi vicino ai mistici zen come ai sufi musulmani. Insomma, sono d'accordo con Bergson quando dice che esiste uno stesso fuoco mistico all'origine di tutte le forme di spiritualità».
Quindi lei ha una fede ma non una religione?
«Esattamente. Anche se poi i quattro vangeli mi hanno particolarmente colpito. Per anni ho cercato di studiarli e di comprenderli. È stato un lungo percorso, alla fine del quale ho potuto considerarmi cristiano. Ho scritto "Il Vangelo secondo Pilato., proprio per cercare di avvicinarmi al mistero di quei testi»
Anche In altri libri ha affrontato direttamente o Indirettamente la tematica rellglosa, penso a "Milarepa", "Monsieur Ibrahim e I fiori del Corano", "Oscar e la dama rosa", e "Il bambino di Noè".
«Nei diversi libri che ho dedicato alla spiritualità ho sempre cercato di mostrare che la fede è civilizzatrice, esattamente all'opposto di quanto sembra indicare l'epoca in cui viviamo. Le religioni umanizzano, cercano di sostituire l'intesa e la comprensione ai rapporti di forza e alla violenza. Le religioni creano legami e nella fede troviamo l'ispirazione della pace, non della guerra. Parlare di quesra concezione della spiritualità è quindi un modo per denunciare tutti gli integralismi, compreso quello degli atei».
Eppure gli attentati di Parigi hanno mostrato che la rellglone può diventare un pretesto di odio e violenza.
«I terroristi sono spesso giovani che hanno un problema con la legge, perché non riescono a rispettarla. All'improvviso qualcuno propone loro di essere al di sopra della legge, giustificando così la loro relazione conflittuale col mondo. Cadendo nella trappola della violenza, quei giovani dimostrano di essere completamente ignoranti in materia religiosa. Se avessero una vera cultura religiosa, non crederebbero affatto a quello che raccontano loro».
Si può tare qualcosa per evitare che una simile violenza continui a riprodursi?
«Dovremmo essere molto più attenti a tutto ciò che umilia i popoli e gli individui. La violenza nasce quasi sempre dall'umiliazione, chi si scopre umiliato, alla fine si ribella. Il primo ministro francese Manuel Valls ha detto che cercare di comprendere significa già giustificare, ma non è vero. Comprendere significa analizzare le cause molteplici all'origine di un comportamento. Quando non si vuole comprendere, alla fine si finisce per designare un capro espiatorio».
Secondo lei è possibile un islam moderno e tollerante?
«Non ci sono i libri, ma solo le letture. Ciò vale per il Corano come per la Bibbia o la Torah. È la lettura che dà valore al libro, non il contrario. In questi testi molto antichi figurano elementi contraddittori: l'apologia dell'amore e il rispetto dell'altro, ma anche la volontà di sottomettere chi non crede al nostro Dio. Diventa quindi fondamentale il modo in cui questi libri vengono letti e le parti che scegliamo di valorizzare. Insomma, il carattere di una religione dipende dagli uomini e non dal testo rivelato. Detto ciò, la relazione con un testo rivelato dovrebbe sempre essere accompagnata dall'umanesimo. Non è perché ho una fede che smetto di riflettere e pensare. Sono un umanista, ma il mio umanesimo non è chiuso alle sollecitazioni extrarazionali della vita, delle bellezza, della profezia. La ragione e la fede non devono essere chiuse e autosufficienti. Entrambe devono restare modeste».
La rivelazione della fede l'ha spinta a imboccare la strada della letteratura. Perché ha abbandonato la filosofia?
«In passato avevo senno ma senza essere soddisfatto dei risultati, perché in me il pensiero analitico e la dimensione creativa finivano per restare separate. Grazie alla fede sono riuscito a creare una sorta di armonia tra il cervello, il corpo e il cuore. Oggi la mia scrittura nasce da questo equilibrio armonioso. Davanti alla violenza, all'egoismo e alla stupidità umana continuo però a essere indignato come prima, e forse anche di più. La fede non fa di me una persona indifferente. I nichilismo e il cinismo non mi appartengono. Di conseguenza, le questioni filosofiche continuano ad essere l'humus dei miei libri. In fondo, cerco di fare filosofia sfruttando forme non filosofiche. Come diceva Sartre, cerco di mettere 1 problemi "in situazione". Lo stesso vale per la fede: posso evocarla solo mettendola in situazione. Ad esempio, raccontando quello che mi è capitato nel deserto, trasformando la mia esperienza in storia».
Da cristiano, come le sembra l'azione di Papa Francesco?
«È un Papa molto vicino allo spirito dei vangeli, di cui fa una lettura che condivido pienamente. Francesco incarna una bontà intelligente e lucida che cerca di scalfire i pregiudizi in nome dei valori evangelici. Mi aspetto molto da lui, più di quello che ha fatto finora, sebbene sappia che nella chiesa si annidano forze conservatrici. È importante che la chiesa riesca a tenere un discorso moderno. Personalmente cerco di spingerla in questa direzione».
In che modo?
«Prendendo posizione. Ad esempio, quando in Francia c'è stato il dibattito sul matrimonio tra omosessuali io ho pubblicamente difeso il matrimonio per tutti. Considero intollerabile che si rifiuti a qualcuno il diritto a realizzare un progetto d'amore usando come pretesto la sua sessualità. Lo dico da cristiano».