Non ha avuto fretta Muriel Barbery, ben nove anni sono stati necessari per progettare e scrivere Vita degli elfi. È il suo secondo romanzo dopo L’eleganza del riccio, best seller globale con sei milioni di copie (due in Italia), guadagnate sulla scia di un fulminante passa parola e, poi, consacrate da critiche entusiaste, premi, un film ben fatto. Dopo le avventure della piccola Paloma e della colta portinaia, miscela di leggerezza e umorismo, la scrittrice francese ha cambiato rotta, una svolta a trecentosessanta gradi. La Vita degli elfi sconfina nel fantasy, con una venatura onirica di matrice simbolista e un marcato timbro ambientalista proponendosi come meditazione sull'incan- to della bellezza oppressa dalla violenza del mondo. Dove gli uomini non riescono più a farsi incantare dalle sue meraviglie ma producono soltanto rancori e odio. E come inno all’infinito intrattenimento di “raccontare storie”. Il tempo delle storie è il passato indistinto del racconto, mitico e infinito. La geografia è disseminata in luoghi diversi, reali e anche trasfigurati dal sogno, scrutati da uno sguardo ipnotico che frulla tutto in un vorticoso tran tran di visioni, miracoli, burrasche in cielo e terra. Tutti collocati tra la campagna abruzzese e Roma, dove Clara vive e suona magnificamente il piano, senza averlo studiato. E la Borgogna, dove Maria parla a contadini bigotti e grandi alberi, arrampicata come il calviniano Barone. Un legame strano ma assai forte unisce le due adolescenti, approdate nei loro ambienti con modalità da favola. L’una “sente” la vita dell'altra, entrambe comunicano con un mondo parallelo, destinato a travolgere tutto. Dapprima distanti l’una dall’altra, una volta insieme, in contatto con il magico universo degli Elfi, devono affrontare le forze del Male che vogliono la catastrofe universale, in una battaglia che ha al suo centro il clima. E tutto sembra precipitare, poiché l’uomo ha troncato il suo rapporto simbiotico con la natura.
VIAGGIO
Nel viaggio di Maria e di Clara tutto vibra, sacro e ineffabile, sulla scena si alternano saperi primordiali, misteri, profezie, contemplazioni. Anche troppo, e troppi. La Barbery degli “elfi” è esuberante ed eccessiva, non concede tregua. Esce di tutto dalla sua macchina delle meraviglie, allestita per un appello «a un mondo più rispettato e tutelato». Stordito da tanto turgore immaginifico, il lettore rimpiange l’arguzia, l’ironia, l’accattivante leggerezza che si è lasciata alle spalle la Barbery del “riccio” che è ormai in inarrestabile letargo. Si annunzia, infatti, il sequel degli “elfi”.