La scorsa settimana ha iniziato a circolare la notizia secondo cui sarebbe in lavorazione una serie tv tratta dal ciclo de L'amica geniale di Elena Ferrante. Al momento di concreto c'è poco: la casa di produzione che ha ottenuto i diritti è la Wildside, già nota per aver prodotto l'anno scorso 1992 e per aver comprato i diritti di Limonov di Carrère, e a quanto pare al momento starebbe cercando partner interessati alla serie.
Al di là di quello che sarà il risultato finale—sempre se poi la serie si farà davvero—il fatto che un'opera letteraria italiana stia per tramutarsi in un prodotto televisivo è una cosa tanto poco frequente quanto interessante. Per dire, gli unici due esempi del genere che mi vengono in mente sono Romanzo criminale e Gomorra—ma la particolarità dei romanzi di Ferrante rende la questione è ancora più interessante.
Non so se li avete letti né che opinioni vi siete fatti dei libri in sé. Io li ho letti, li ho apprezzati e ho seguito abbastanza le diatribe a riguardo dell'anno scorso, e alla fine mi sono convinto che la maggior parte delle critiche erano di parte o fuori bersaglio. La verità, è che negli ultimi vent'anni di letteratura italiana non c'è mai stato un romanzo o uno scrittore capace di avere un impatto sulla realtà paragonabile a quello dei romanzi di Elena Ferrante.
È una questione di fatti: Elena Ferrante rappresenta una controtendenza in un momento di crisi nera sia di vendite che di idee nella letteratura italiana. Secondo le ultime statistiche il 58 percento degli italiani non legge neanche un libro all'anno e il 9 percento delle famiglie non ha libri in casa. Nonostante questo, L'amica geniale solo in Italia ha venduto oltre 200mila copie, e lo stesso i tre romanzi seguenti del ciclo. La tetralogia di Ferrante è stata tradotta il 36 lingue e ha venduto più di 300mila copie in Gran Bretagna e oltre 800mila negli Stati Uniti.
Cifre che dovrebbero, penso, bastare a far cambiare idea a chi liquidava il successo di questi libri all'estero in termini di semplice esotismo. E c'è di più: il successo planetario di Elena Ferrante ha influito addirittura sulla percezione comune di Napoli—e come ha fatto notare il Guardian, sulla scia dei suoi libri il turismo ha riscoperto la città. Prima di quei libri la narrativa di Gomorra era un po' il simbolo della città in Italia e all'estero, al punto che quando volevano sembrare dei duri i rapper andavano a fare i video a Scampia. Adesso invece le pizzerie fanno la pizza Ferrante e il New York Times nella sua sezione viaggi pubblica articoli su "Cosa fare nella Napoli di Elena Ferrante."
Ma allora perché tante critiche? Perché i libri della Ferrante sono un prodotto pop e in quanto tale difficilmente digeribile dall'autoreferenziale intellighenzia italiana, dove ora mi pare vada per la maggiore la corrente "borghesi romani che hanno problemi col padre". Forse è colpa di un sessismo di fondo che porta a etichettare automaticamente un'opera come "romanzi rosa" (sottinteso, "bassa letteratura") solo perché scritta da una donna e con protagoniste donne. Fatto sta che di fronte al successo di questi romanzi il mondo della cultura italiana ha reagito spesso con sufficienza. Non c'è da stupirsi che, anche se era di gran lunga il libro più venduto, letto e discusso tra i libri in concorso l'anno scorso, Storia della bambina perduta non abbia vinto il premio Strega.
Questo è il punto fondamentale, nonché la ragione principale per cui questi libri sono diventati un caso. In un paese in cui la letteratura è egemonizzata da un'élite è comparso finalmente un romanzo pop, accessibile e comprensibile a tutti. E, incredibilmente, la gente l'ha comprato e letto. Il che ha fatto crollare la narrativa auto-assolutoria degli ambienti intellettuali italiani secondo cui "nessuno vuole più leggere" e i destinatari finali della cultura debbano essere per forza, loro malgrado, le stesse persone che la producono.
Probabilmente non è nemmeno vero che la gente non vuole leggere: semplicemente alla gente che non appartiene a quell'ambiente non frega niente dei prodotti che escono dagli ambienti letterari italiani, perché la letteratura italiana "alta" non è più in grado di appassionare il grande pubblico, di farlo immedesimare o entrare dentro una storia. Una capacità diventata ormai appannaggio solo dei vari Fabio Volo e della letteratura commerciale—e che a quanto pare possiede anche Elena Ferrante.
È per questo che sono piuttosto gasato all'idea di una serie tv tratta dal ciclo de L'amica geniale—e lo sono a prescindere da quale sarà la qualità del prodotto finale. Sono gasato perché come tutti quelli che li hanno letti so che questi libri sono il materiale perfetto per una serie tv, perché ragionano già come una serie tv. Contrariamente al resto della letteratura italiana, si preoccupano di essere accessibili e di intrattenere un pubblico con una soglia dell'attenzione mediamente piuttosto bassa—o perlomeno, più bassa di quella dei cosiddetti "lettori forti"—e per farlo utilizzano tutta una serie di tecniche narrative che sono l'equivalente letterario dei cliffhanger a fine puntata nelle serie tv. Tanto che l'esperienza di lettura della tetralogia è stata paragonata a quella del binge-watching di una serie.
Senza contare che una serie tv vorrebbe dire un allargamento consistente del pubblico per i libri, che visto lo stato attuale del mercato editoriale italiano è solo un bene. Forse, tra tutti i nuovi lettori forse ci sarà anche qualcuno disposto a comprare gli innumerevoli romanzi inutili sfornati ogni anno dalla nostra letteratura.