Ha indubbiamente del coraggio ÉricEmmanuel Schmitt a mettere per iscritto oggi, a 27 anni da quei fatti, proprio mentre si trova all’apice del successo mondiale (i suoi libri sono tradotti in 44 lingue, 50 sono i Paesi che mettono in scena abitualmente le sue pièce teatrali), la storia della sua improvvisa e clamorosa conversione religiosa.
Una conversione avvenuta nel deserto dell’Hoggar, in Algeria (correva l’anno 1989, Schmitt aveva 29 anni), mentre il giovane drammaturgo (il debutto di Schmitt è stato appunto in teatro, dopo studi di filosofia) si trovava in Nord Africa sulle tracce di Charles de Foucauld. Al connazionale mistico, ateo e soldato diventato credente e missionario, doveva dedicare un documentario, attratto dalla singolare vicenda biografica.
E proprio durante un’escursione nel deserto – questo è il cuore del libro La notte di fuoco, in libreria dal 18 febbraio per edizioni e/o (pagine 208, euro 12,50) di cui anticipiamo qui uno stralcio della parte finale – Schmitt si perde, smarrisce i suoi compagni di viaggio, resta solo. Allora si scava una buca dove trascorrere la notte. E in questa nottata stellata nel deserto vive un’esperienza mistica di incontro con l’assoluto che poi riconoscerà come Dio. Ricorrendo a immagini che fanno eco a un’altra celebre conversione, quella di Blaise Pascal, Schmitt cerca di dare al lettore una lucida e quasi ingenua cronaca di questo improvviso faccia a faccia. Che si conclude con una frase – «Tutto è giustificato» – che Schmitt fa dire anche al Gesù del suo romanzo più religioso, IlVangelo secondo Pilato (San Paolo, uscito nel 2000), una delle ricostruzioni letterarie recenti più avvincenti sul Nazareno.
Fu padre Ferdinando Castelli, l’indimenticato gesuita “segugio di Dio” nella letteratura contemporanea, a rilevare su “Civiltà Cattolica” come Schmitt fosse «ossessionato« da Gesù, ossessione in termini positivi, come attenzione a un mistero – la natura umana e divina di Cristo – che supera la ragione ma non la annulla. Lo stesso Castelli evidenziava come la conversione di Schmitt – la cui opera, scriveva il gesuita, «si contraddistingue per la freschezza e la semplicità di stile, per la varietà e la scelta dei temi, sempre coinvolgenti e originali, per il tono familiare, scandito di umorismo e di poesia» – rimandasse a un altro testo famoso, Ma conversion di Paul Claudel. E proprio l’affinità con diversi grandi scrittori francesi – esempi, Bernanos e Mauriac – fu una delle domande che posi a Schmitt in una conversazione parigina nel 2003 quando mi raccontò il suo incontro con il divino: «Come si sente se viene etichettato come scrittore cristiano?». La sua risposta fu disarmante: «Mi sento veramente onorato se vengo accostato a nomi di scrittori simili»