Tra cinema e letteratura il quattordicenne Luca Lamanna, un'avversione innata per la scuola e una vocazione indomita per le battaglie campali alla maniera dei ragazzi della Via Pál, è a un romanzo sconosciuto a tutti che deve la rivelazione di un paesone siciliano del 1967, Partinico, dove i cinema proiettano pure due film consecutivi e sono gremiti di coetanei in debito di emozioni forti. Il libro è Il giorno della civetta, il primo che Luchino legge e dal quale apprende come la mafia sia un potere superiore allo Stato, per modo che come don Mariano Arena torna trionfante dal carcere mentre il capitano Bellodi viene trasferito, così il boss di Partinico "Signuruzzu" ingiunge alla troupe di Damiani di lasciare il paese per via del film "politico" che, tratto con qualche libertà dal romanzo, sta girando per dimostrare che mafia è sinonimo di Democrazia cristiana. Luchino lo legge per cercare la Rosa Nicolosi che sul set del film in lavorazione in piazza Otto Cannoli ha la bellezza di Claudia Cardinale di cui è rimasto folgorato e divenuto amico. Ma nello stesso tempo scopre cos'è la mafia. Il tipo della Malèna che seduce l'adolescente avvertito delle sue fantasie non meno che dei suoi doveri civili - e che conoscevamo già dai sospiri del giovane Alessio Mainardi di Vittorini invaghito della Zobeida e spinto a farsi "mas hombre", dalla malizia delle commedie di Risi e Samperi nonché da Fellini e ancora da Moravia, Ercole Patti e Calvino - ci viene riproposto ora in L'incantesimo delle civette (pagine 176, euro 15, edizioni e/o) da Amedeo La Mattina (giornalista politico della Stampa, palermitano, ma da ragazzo "partinicoto" e libera trasposizione del giovane Luchino Lamanna, che è membro della banda dei Guerrieri della Rocca in guerra per un campetto di calcio contro i selvaggi Mezzocuore) entro un vertiginoso quadro di commistioni tra verità e finzione, cinema e narrativa, gioco e realtà, fanciullezza e maturità, che riflette un'idea di Sicilia riportata al momento storico in cui, attraverso il romanzo di Sciascia, fa la sua prima apparizione il concetto di antimafia, due anni prima della costituzione della commissione parlamentare ad hoc e a ridosso dell'uscita di Mafia e antimafia di Michele Pantaleone: un'antimafia che coonesta il suo contrario dacché legittima Cosa nostra fino a giustificarla.
Così, è un ragazzino imberbe e virginale, per amore di una celebre attrice che lo chiama "occhi belli", a incaricarsi di sfidarla contro il parere di quanti, compagni di gang e rivali, lo ritengono un "foddi" perché fare la guerra alla mafia non è come fracassarsi a sassate la testa tra loro. Il calviniano ragazzo Pin di La Mattina che si fa partigiano di un ideale di liberazione mutuato da un impeto d'amore interpreta allora l'inanità di un'antimafia che nasce goffa, disarmata, velleitaria e fallimentare. Come Bellodi che va via, ma nel presupposto di rompersi la testa, anche Luchino Lamanna lascia Partinico, allo stesso modo della troupe minacciata dal capomafia e della divina Claudia, sgombrando così tutto il campo e consentendo alla mafia di continuare a imperare. Le Civette del cinema, arrivate per involgere in un temporaneo incantesimo un paese che però non deve cambiare, da presenze beneaugurali tornano a farsi cattivi presagi: ma bastano a indicare alla prima generazione del Dopoguerra e dei sorgivi vagiti dell'antimafia una conradiana linea d'ombra superata la quale si apre un cammino di formazione che, quanto a La Mattina, volendo anch'egli rompersi la testa, ha significato volgersi infine indietro per definirne il ricominciamento e ricreare l'incantesimo di un tempo in cui ogni vagheggiamento era stato possibile, anche battere la mafia o conquistare il cuore di una diva.