Un romanzo perfetto per gli appassionati di storia e di esotismo nato grazie all’iniziativa di Angelo Angelastro. Ne parliamo con l’autore.
Il libro inizia con una folgorante presentazione di Filippo Salerno, il protagonista del libro, e con il racconto della registrazione delle sue memorie: presto nasce l’idea di usare i materiali raccolti per scrivere un romanzo ma l’iniziale entusiasmo sfuma di fronte ad alcune difficoltà e la sua realizzazione si ferma per ventisei anni.
Sotto quali aspetti l’opera sarebbe stata diversa se si fosse dedicato senza indugi a scrivere questo «romanzo della realtà»?
Non è «Il bel tempo di Tripoli» ad aver visto la luce tardivamente. E’ maturata tardi la sfida narrativa…Francamente non so che fisionomia avrebbe avuto un « romanzo della realtà » nel 1986 : mi viene da pensare che i giudizi del protagonista non sarebbero stati ininfluenti sulla mia interpretazione dei suoi racconti.
Si è rivelato difficile mantenere uno sguardo oggettivo sul protagonista, avendo trascorso molto tempo insieme a lui e aver ascoltato i suoi racconti?
Filippo Salerno era un affabulatore entusiasta della sua visione del mondo. Tanto entusiasta da provocare negli ascoltatori un inevitabile e salutare scetticismo. Quindi no, non direi che sia stato difficile attenersi alla massima obiettività possibile. E poi c’è da dire che ogni passaggio del suo «rutilante» resoconto è stato sottoposto a meticolosa verifica prima della pubblicazione del libro.
La vicenda di Salerno si incrocia con quella di altri personaggi, più o meno protagonisti degli eventi storici narrati. Non le è venuta la curiosità di seguire le orme di qualcuno di loro, tracciandone l’eccezionalità e il percorso così come ha fatto per Salerno?
Al mio «eroe» avevo attribuito un compito preciso: guidarmi nell’esplorazione del «sordido universo della dittatura». Ma ciò che mi interessava di più era approfondire emozioni sentimenti e pensieri di chi a quell’universo aveva regalato gli anni migliori della propria vita convinto di partecipare ad una grande impresa storica…Il tragico inganno del fascismo vive, insomma, nel racconto delle vicissitudini di uno sconosciuto capomanipolo della Milizia piuttosto che nelle sole imprese dei gerarchi.
«Qualcuno cominciò a rammaricarsi delle sue scelte: fra loro un insegnante elementare che non inveiva contro il Duce o Vittorio Emanuele III, bensì all’indirizzo di Emilio Salgari. Diceva di aver letto i romanzi dello scrittore veneto e di trovarsi in Africa, più che altro, per emulare i suoi straordinari personaggi.» . Al giorno d’oggi sembra impossibile che qualcuno possa agire sull’onda di un entusiasmo letterario, soprattutto se ciò significa mettere a repentaglio la propria vita. Ma è davvero così?
Viviamo un’epoca di sconsiderata prosaicità e dunque sarei sorpreso di imbattermi in «fatali entusiasmi» letterari. Consola, però, che molti si dedichino alla scrittura dopo aver vissuto esperienze estreme e rischiose. Sempre che l’abilità nel narrare sia pari alla capacità di affrontare i pericoli…
Salerno si trova, a un certo punto, assunto in qualità di Capo dell’Ufficio Stampa, ruolo che lo eleva immediatamente a primo giornalista della Milizia in Africa Orientale. Alla domanda postagli dal Generale, «Sai scrivere bene?» risponde «Scrivere so scrivere. […]Sarei più prudente nell’uso dell’avverbio!». Un simile dilettantismo sarebbe ancora possibile?
Anche nell’Italia di oggi, felicemente indifferente al merito, non mi sembra sia stato bandito il dilettantismo…Certo, il Regime Fascista si dedicò con molto profitto ad interpretare questo storico difetto della Nazione! E fu questa una delle ragioni della vergognosa implosione dell’Impero…
Non si trova facilmente traccia, purtroppo, dell’esposizione fotografica organizzata a Bari per presentare le fotografie scattate in Etiopia da Salerno tra il 1935 e il 1940. Ci può raccontare qualcosa di più in merito?
Salerno non si riteneva degno di una retrospettiva dedicata ai suoi reportage africani e seguì con atteggiamento bonario ma titubante l’organizzazione della mostra. Lo ricordo all’inaugurazione, più sorpreso che felice. Le sue foto? Straordinari documenti che si presterebbero a varie interpretazioni di tipo etnografico o antropologico. Sono certo che un giorno i suoi figli provvederanno a salvaguardare quegli straordinari negativi.
«Oggi, dopo tanto tempo, devo riconoscere che fui ingiusto, molto ingiusto con l’avvocato. Pago di aver raccolto confidenze che illuminavano una pagina sottovalutata di storia italiana, convinto d’aver aggiunto preziosi materiali alla mia ricerca di verità da tradurre in sforzo letterario, mi eclissai al suo orizzonte».
Come si è sentito il giorno in cui il suo libro è uscito nelle librerie?
Ho una maniera molto personale di vivere gli eventi della vita : diciamo che «Il bel tempo di Tripoli» ha appena iniziato a splendere nella mia realtà…
I libri di storia che raccontano le vicende dell’Italia coloniale abbondano, manca però un sensibile contributo letterario a riguardo. Ritiene che si tratti ancora di una tematica troppo delicata oppure la narrativa sta pian piano iniziando a scoprirla?
Non c’è dubbio che il nostro Paese non abbia mai fatto fino in fondo i conti col suo passato coloniale. Hanno certamente prevalso gli impulsi della rimozione e del giudizio sommario. Un esempio? L’ottantesimo anniversario dell’invasione in Etiopia che ricorreva lo scorso 2 ottobre. Ebbene, quella scadenza è stato quasi del tutto ignorata: fra i grandi giornali solo il Corriere della Sera ha ritenuto di doverne parlare! Questa rimozione è un grave errore, che allunga i suoi effetti negativi anche sulle vicende dell’oggi…Per rimuoverla sarebbe utile non solo la prosecuzione degli sforzi in sede storica. Anche una narrazione onesta e scrupolosa può fare moltissimo.
Ha qualche altra idea per utilizzare il contenuto di questi «nastri africani», le audiocassette che conservano la voce di Filippo Salerno e i numerosi aneddoti che le ha raccontato in ore e ore di racconti e da cui è nato «Il bel tempo di Tripoli»?
Ho onorato, alla fine, l’impegno contratto nel 1986 con Filippo Salerno. Mi resta ora un solo «adempimento» : far ascoltare ai figli, ai nipoti la sua voce. A quanto pare egli aveva scelto me per «tramandare» le vicende africane, raccontava pochissimo in famiglia…
«Ve la sentireste, avvocato, di raccontare l’Africa, il fascismo e la guerra davanti a un microfono?» Lui attese un po’ prima di rispondere, mentre sistemava al meglio fra le gambe l’inseparabile bastone. «E perché? C’è bisogno di un microfono per raccontare?». Pensiamo a queste parole e al fatto che, pian piano, anche tutti i testimoni della Seconda guerra mondiale stanno scomparendo, lasciando dietro di loro solo testimonianze registrate. Si rischia una perdita della memoria, un indebolimento della sua forza?
L’oblio minaccia costantemente l’avventura umana. Ma, per fortuna, c’è sempre qualcuno che si mette davanti ad un focolare e ascolta. E magari registra con uno smartphone…