Maria, una ragazzina che si porta dietro «un po' dell'invisibilità e del tremolio dell'aria, come fanno le libellule o i ramoscelli nel vento», abita m un paesino
della Borgogna, in Francia. È un'anima pura che ama la natura, dialoga con i cinque elementi e prevede il futuro. In quella terra è stata portata in fasce, in una notte di neve, «da un grande cavallo bianco con il mantello che fuma nella sera e spande una bruma chiara in tutte te direzioni». La coetanea Clara, invece, vive sui monti abruzzesi ed è stata cresciuta da un parroco di campagna e dalla sua anziana perpetua
semianalfabeta. Il suo talento è il pianoforte, legge gli spartiti e suona
d'incanto senza aver mai preso una lezione, le note le raccontano storie sconosciute ai più. Sono le giovani protagoniste, un po' umane e un po'
folletti, di Vita degli elfi, firmato da Muriel Barbery, autrice rivelazione conosciuta in tutto il mondo per L'eleganza del riccio. Il suo nuovo libro, prima parce di un dittico, racconta una scoria a metà tra sogno e realtà sull'eterna lotta tra bene e male. Con lei abbiamo parlato del potere dell'immaginazione e della bellezza come antidoto contro tempi oscuri, funestati da disillusione, materialismo e sete di potere.
Partiamo dalle ragioni che l'hanno spinta a scrivere Vita degli elfi.
«Più gli anni passano, più il desiderio di nutrirmi di bellezza aumenta. C'è bisogno, oggi più che mai, di imparare a stupirci. L'umanità moderna è avida di potere, vuole dominare e distruggere e non si rende conto di quanto l'armonia possa arginare tragedie e conflitti.
Paloma, coprotagonista dell'Eleganza del riccio, Maria e Clara, in Vita degli elfi: tre giovanissime capaci di vedere oltre, di andare in profondità. Era anche lei così da rngazzina?
«Sono cresciuta in campagna in mezzo a libri, dipinti e musica. La mia attività
principale, a parte la scuola, è sempre stata esplorare la natura con le amiche e leggere. Negli anni in cui ho vissuto a Parigi mio nonno mi faceva fare il giro dei musei trasmettendomi il suo amore per la pittura. Ero anche solita inventare storie e sognare a occhi aperti. Ho imparato, mentre andavo in bicicletta all'aperto, che la gloria della natura è la fonte di ogni cosa bella».
Secondo Fédor Dostoevskij "la bellezza salverà il mondon e il poeta John Keats scrisse: "La bellezza è verità e verità è bellezza". Tanti, però, sembrano non accorgersene.
«Sono citazioni a cui penso spesso. I poeti e gli scrittori sono i più vicini alla
verità perché colgono l'essenza della realtà attraverso l'ipnotico fascino del linguaggio. Un po' come accade in quei sogni in cui tutto è così cristallino da farci capire cose che a voce non sapremmo spiegare. Non è però possibile raggiungere quel livello di comprensione senza un minimo di meditazione, senza rallentare la frenesia della quotidianità. La mia scrittura lenta, onirica e poetica vorrebbe contrastare il consumismo e invitare all'introspezione e all'ascolto•.
A un certo punto scrive che Maria "mostrava una leggera tristezza, come è proprio delle anime la cui intelligenza oltrepassa la percezione", come a dire che la sensibilità può essere un fardello. Ma è pur sempre un dono, vero?
«Certo, ho imparato ad amare qualunque tipo di ipersensibilità. Senza l'incanto dell'arte e della letterarura l'uomo sarebbe incompleto. La consapevolezza che il male esiste e che le tragedie accadono ci rende fragili e fa soffrire, ma l'arte in senso lato ci dota
di resilienza e ci rende parte di qualcosa più grande di noi».
Come mai ha scelto gH elfi come canale per veicolare energie positive?
«Se devo dire tutta la verità, non sono così interessata alle atmosfere fantastiche
o ai racconti epici, tuttavia la vita degli elfi si sposava con la mia ricerca
di poesia nella natura. Gli elfi compongono odi agli uccelli degli stagni e inni alle brume, sanno lodare la bellezza del mondo, vivono in una dimensione splendida ed eterna».
Lei dove trova la bellezza nella vita di tutti i giornj?
«Tengo sulla scrivania oggetti a cui sono legata perché mi trasmettono vibrazioni positive, oppure passeggio in giardino sperando di incontrare volpi, lepri e fagiani mentre il sole sorge e sembra un dipinto. Leggo, ascolto musica, frequento mostre. Parlo delicatamente, senza mai alzare la voce. E poi sorrido. Lo faccio spesso».
A proposito delle aspettative sul suo nuovo libro: dopo l'enorme successo editoriale del suo romanzo L'eleganza del riccio, lei ha dichiarato di aver temuto per la sua innocenza. Che cosa intendeva?
«Ho passato così tanto tempo a parlare de L'eleganza del riccio e del processo
di scrittura che lo riguardava che, a un certo punto, mi sono chiesta se sarei stata ancora capace di mettermi davanti al foglio con naturalezza. Perché uno
scrittore ha bisogno di potersi abbandonare alle parole senza preoccuparsi di aspettative e risultati. Ho avuto la fortuna di ritrovare quello stato di abbandono e candore che consente di scrivere senza pensieri, come fosse la prima alba del mondo».
Allora vuol dire che somiglia a Renée, la portinaia filosofa de L'eleganza del riccio, che non si cura di cosa pensano gli altri di lei.
«Certamente bisogna andare oltre le apparenze. Ritrovando il gusto e il piacere di incontrare la gente. Lasciare le scrivanie, mollare la reclusione, il cellulare ed entrare nel mondo. L'isolamento causa incomprensione, porta a basarsi soltanto sull'apparenza e, nel peggiore dci casi, sfocia nella violenza perché l'aluo diventa qualcosa che non sappiamo riconoscere e percepiamo come minaccia».
Forse in questo senso la dimensione del sogno e della fantasia può aiutare a vedere oltre la superficie, proprio come succede in Vita degli elfi.
«Cè un'antica poesia cinese che dice: "E se la terra non fosse altro che un'isola circondata dalla nebbia di un grande sogno?". L'immaginazione è un'arma potentissima, consente di creare infiniti mondi ed evoca quella parte nascosta di noi importante tanto quanto sono le cose visibili e tangibili».
Quando guarda fuori dalla sua finestra cosa vede?
«Vedo alberi, il cielo e tanti gatti che camminano».