Dopo aver già intervistato per noi Antonio Manzini, Luana Troncanetti ci ha inviato una bellissima intervista a Patrizia Rinaldi, autrice di “Ma già prima di giugno”. Buona lettura!
Per presentarvi Patrizia Rinaldi, a mio avviso una delle penne più potenti del panorama letterario italiano contemporaneo, riporto lo stralcio di un pensiero che le ho scritto su Facebook un istante dopo aver terminato di leggere il suo ultimo romanzo. Mi riferisco a “Ma già prima di giugno”, che un mese fa ha vinto il Premio Alghero Donna di Letteratura e Giornalismo, è rientrato nella classifica dei sei libri più belli letti dallo staff di Zebuk nel 2015 ed è stato recensito in questo articolo.
“C’è una cosa che mi incanta davvero quando leggo una storia: la capacità di raccontarla. Suona banale, una faccenda che odio è proprio la banalità, ma ci sono storie splendide raccontate male. Semplificate da un linguaggio che usano un po’ tutti. Smorzate da frasi ordinarie, già sentite ovunque. Fritte e rifritte, stantie.
Per me un scrittore davvero capace è quello che non prende la sua penna in prestito da nessuno, che non ricorda cose già lette. Troppi, quasi per sport, giocano a scoprire analogie fra gli scrittori. Ma con te è impossibile: hai uno stile originalissimo, danzi fra le parole col tuo incantevole sorriso, col cuore, con ironia e profondità, con una forza travolgente, una delicatezza struggente, una ferocia spietata che è vita.
Vitale e meraviglioso questo libro, una danza tutta tua che non segue pentagrammi, deraglia sconvolgendo gradevolmente le regole della sintassi, scavalla i luoghi comuni. Una danza che ho amato moltissimo, forse perché io adoro ballare.
Grazie per questo libro, Patrizia. Te lo dico con queste parole scombinate, come i dialoghi che concludono la storia di Ena e che mi hanno strappato lacrime e singhiozzi di riso sfrenato.”
Questa vitalità, danza di parole e pensieri sono evidentissimi negli occhi di Patrizia. Esplodono dalla sua figura elegante e si concludono nella grazia ironica che sprigiona a ogni incantevole sorriso. L’ho conosciuta qualche anno fa a Napoli, la sua città. C’era molta gente, quella sera, tanta da perdercisi dentro. Però quegli occhi colmi di vivacità bella li ho notati subito, ricordati a lungo e rivisti a Roma recentemente. È stata una gioia poterla riabbracciare, ancora di più scoprire la sua scrittura eclettica.
La Rinaldi possiede una caratteristica che adoro: non si cementifica su un unico genere letterario, esplora e spazia un po’ ovunque. Soprattutto, non si fossilizza su una cosa troppo facile da fare per chi vive in un contesto che offre spunti infiniti di scrittura: una città problematica così come tante altre, però con caratteristiche uniche.
Riallacciandomi al concetto di penna camaleontica, le pongo la prima domanda.
So che hai scritto più di venti romanzi, passeggiando con la tua penna dal noir alla letteratura per ragazzi. Quanto cambi pelle in questi percorsi così disomogenei? Conservi comunque una cifra fissa nella tua scrittura?
Spero di sì; nei propositi lo stile dovrebbe continuare a somigliarsi, i linguaggi meno. Mi appassiona cercare contesti narrativi diversi dove potere assecondare le esigenze varie del dire. Ho cercato di imparare dal noir e dalla scrittura per ragazzi a non trascurare la tensione narrativa, l’intreccio, ma continua a prevalere la ricerca sulla scrittura che mi pare inesauribile, degna di stupore.
Leggendo Il giardino di Lontan Town e Federico il pazzo ho notato un filo conduttore: l’essere “altrove”, una ricerca propria di due personaggi, nello specifico due madri, che pensano di risolvere i problemi trasferendosi in un’altra città. Quanto è difficile vivere nel presente e nel “qui”, cacciare via la tentazione di una fuga?
Sono altrove decisi da altri o da altro: dagli adulti, dalle necessità lavorative, da miraggi di miglioramenti, dalla tentazione del ritorno. Nelle storie che racconto quasi sempre i ragazzi si adattano ai cambiamenti in maniera più composta rispetto agli adulti che hanno deciso di andare via. Ne Il giardino di Lontan Town è come dici, la madre della protagonista scappa di continuo in un altrove che la deluderà, non riesce a vivere in genere e in nessun posto. La figlia risolverà questa responsabilità finalmente non sentendola sua.
In cosa pensi che i ragazzi siano, spesso, molto più adulti di noi?
Forse sono, per fortuna loro, meno adulti e più autentici. Si lasciano imbrogliare meno, hanno una comprensione sentimentale diretta, una crudeltà illibata, un immaginario meno consumato. Soffrono anche meglio, ma questo si dice poco.
Critiche costruttive, alcuni personaggi senza specifica competenza definiscono così le stroncature arbitrarie dei libri. Conosci un sistema per difendersi da certi attacchi? Se sì, ti consiglierei di brevettarlo ringraziandoti a nome della comunità degli scrittori e quindi, più avidamente, chiedendoti di partecipare al progetto in qualche modo così dividiamo gli utili.
I lettori hanno il diritto di criticare e anche di distruggere, gli autori hanno il diritto di riflettere non su tutti i giudizi.
L’ispirazione, quando non riesco ad assecondarla mi sento come qualcuno che si fa la doccia senza canticchiare: lavata a metà. Mi dici quale sensazione provi tu, quando qualcosa ti impedisce di cogliere l’attimo?
L’ispirazione è un gran lusso che non mi posso permettere sempre. Quando manca l’appuntamento ci litigo, cerco di convincerla. Se non risponde, la ignoro. E intanto scrivo, magari mi fa una sorpresa e mi raggiunge.
Un libro che ti ha incantato, me lo racconti il perché?
Il fucile da caccia di Inoue Yasushi forse è il libro che ho riletto di più. Ha struttura, voci, storie, modernità, classicità e tensioni conciliate in un’armonia quasi irraggiungibile.
Qual è la cosa che ti fa regredire alla tua prima infanzia, che ti regala stupore e meraviglia bambina?
Lo stupore quando non me l’aspetto più. Quando un danno mi ha allontanata e al ritorno incontro bellezza, anche trascurabile.
L’ultima volta che ti sei arrabbiata come una belva?
Hanno offeso una persona a me cara mentre subiva circostanze difficili. Disprezzo i forti con i deboli e deboli con i forti. Totò li chiamava I Caporali.
E quella in cui hai sorriso fino alle lacrime?
Quando ho trovato il dialetto giusto per l’ultimo Caporale che ho incontrato, appunto.
Come si disinnesca la stupidità? (Anche qui, rilancio la proposta di collaborazione al brevetto).
Non lo so. Ridendo?
Hai un’ora di tempo tutta per te, come la riempi?
Non la riempio. La perdo.
I complimenti ti imbarazzano?
Dipende. Certi complimenti mi imbarazzano, sì. Alcuni mi fanno diventare tronfia come una balena sazia. Altri scivolano.
A proposito, grazie per gli apprezzamenti alla mia scrittura, per il tuo modo così particolare e diretto di leggere.
Sorrido nel leggere la chiusa dell’ultima risposta. Lascio valutare a voi se quella della Rinaldi è oppure no una scrittura sorprendente, fuori dagli schemi, tutta sua. Leggere anche soltanto un rigo su Facebook è sufficiente per capire di che materia è composta la sua penna. Vi segnalo uno dei suoi ultimi status: “Coltivo possibilità quando non ne ho. Uso germi magri, sparuti. Innaffio con acqua di mare e sangue piante carnivore e fiori.”
Sono io che ringrazio lei, ancora una volta, per ciò che scrive e per ciò che è. Continuerò a farlo a costo di trasformarla in una balena sazia vita natural durante, so che la sua grazia incantevole non si smorzerà per così poco.
Segnalo ai lettori romani di Zebuk che mercoledì 20 gennaio alle ore 18:30, presso la libreria Ubik di Monterotondo, Patrizia Rinaldi presenterà “Ma già prima di giugno”.
Io ci sarò sicuramente, date un’occhiata all’evento Facebook e clikkate su “partecipa”. Non perdete l’occasione di incontrarla, datemi retta: salvo impegni improcrastinabili, non privatevi di questo piacere.