Piergiorgio Pulixi è senza ombra di dubbio uno degli autori più interessanti delle ultime generazioni. Allievo di Massimo Carlotto, fa parte del collettivo Sabot e, arrivato al quarto romanzo, ha già trovato una precisa collocazione nel variegato mondo della letteratura di genere di casa nostra. La sua principale dote è sicuramente quella di “non dormire sugli allori”. Dopo il successo ottenuto con i primi due episodi della serie incentrata su Biagio Mazzeo, avrebbe potuto tranquillamente proseguire il percorso “noir” sul quale si era brillantemente incamminato. Gli ultimi due romanzi lasciano invece trasparire una rapida quanto inesorabile transizione verso il thriller inteso nella sua accezione più classica. “Il canto degli innocenti” è il primo capitolo di una nuova serie composta da tredici episodi (ovvero tredici canti): una serie originale ed ambiziosa, in cui verranno passate in rassegna tutte le umane aberrazioni, fino ad arrivare a costruire un mosaico esaustivo sul male. Ma partiamo dalla trama. Una serie di brutali omicidi sta sconvolgendo la città. Gli autori dei delitti – fatto davvero inspiegabile – sono tutti ragazzini di età compresa tra i dodici e i quindici anni. Il commissario Vito Strega, poliziotto sospeso dal servizio per aver sparato ad un collega, comincia ad interessarsi alle indagini ed intuisce immediatamente che dietro questi delitti apparentemente inspiegabili potrebbe nascondersi la figura di un Burattinaio, capace di manipolare le loro giovani menti. Il punto di forza del romanzo è, senza ombra di dubbio, la figura del protagonista. Vito Strega è un investigatore esperto, brillante ed intelligente, ma allo stesso tempo piuttosto tormentato dalle sue vicende personali. Non ha paura di affrontare il male a viso aperto anche se il percorso intrapreso si rivelerà pieno di ostacoli e rischierà di trascinarlo nel baratro. Non si può certo considerare un poliziotto d’azione: nonostante la mole imponente e l’innegabile fisicità è più un solutore di enigmi che un implacabile mastino, molto vicino all’Auguste Dupin di Poe di cui è appassionato lettore. La sua personalità è ricca di sfaccettature, per non dire di contraddizioni. Nella stessa figura, infatti, convivono l’immagine del detective erudito (il nostro ha conseguito tre lauree: in psicologia, giurisprudenza e filosofia) con quella dello sbirro alla deriva, che per placare le proprie ossessioni si ubriaca di assenzio in locali equivoci. Pulixi dimostra una notevole abilità nel costruire la suspense. Tassello dopo tassello, costruisce un mosaico in cui la tensione del thriller si arricchisce, a poco a poco, di elementi umani e concreti (si pensi, ad esempio, al rapporto di Vito con l’ex moglie). C’è da dire che già nel precedente romanzo, “L’appuntamento”, Pulixi aveva sapientemente indagato i meccanismi della sottomissione psichica: in questo nuova esperienza letteraria la sua personalissima ricerca sulle radici del male si arricchisce di nuove sfumature, senza perdere per strada la capacità di osare e di “mirare alto”. La narrazione è fluida ed armoniosa, e riesce a far convivere le dolenti vicende personali del protagonista con le sue doti di instancabile segugio, pronto a tutto per arrivare alla verità. La scrittura è rapida, tranciante come un proiettile che tutto abbatte lungo la sua traiettoria, con predominanza dei dialoghi – secchi ma comunque realistici – sulle descrizioni. “Il canto degli innocenti” è un romanzo che si lascia divorare in poche ore e che lascia nel lettore qualcosa di più rispetto agli usuali thriller della nostra epoca: un libro che probabilmente non si accontenta di parlare del male… ma vuole anche guardarlo direttamente in faccia.