Le tematiche riguardanti l'omosessualità hanno da sempre diviso l'opinione pubblica. Ancora oggi, mentre molti Paesi si sono portati su posizioni più avanzate e moderne, in Italia il dibattito su questioni come il matrimonio e la genitorialità di persone dello stesso sesso è molto acceso. Molte sono le resistenze a una parificazione dei diritti. Molta è ancora la diffidenza e l'ostilità con cui gli omosessuali sono guardati. E molti, purtroppo, i giovani che cadono vittima di ostilità e pregiudizi, talvolta dai risvolti più tragici.
Ne ho parlato con Eduardo Savarese, napoletano, classe 1979, magistrato, studioso di diritto internazionale e scrittore. Di recente è uscito il suo nuovo libro, Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma, edito da Edizioni e/o.
Eduardo, il tuo nuovo libro, Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma, è un'opera molto attuale per le tematiche che affronta, caratterizzata da una profonda analisi introspettiva e, allo stesso tempo, da una grande onestà intellettuale. Ci vuoi raccontare come e perché hai deciso di scriverlo?
La lettera nasce all’indomani dell’esito del referendum irlandese sul matrimonio egualitario. L’ho scritta in poco tempo, e con grande felicità, tipica di quando ci si scuote da un lungo torpore. Non intendevo infatti scrivere un libro del genere, almeno a livello conscio. Invece, evidentemente, ad un livello più profondo, mi era necessario formulare alcune osservazioni, personali e generali, sul tema, da scrittore credente e da magistrato. Mi ero abituato all’idea che l’omosessualità restasse, in Italia, all’ombra di un legislatore colpevolmente inerte e di una Chiesa cattolica intrappolata in una dottrina meritevole, quanto meno, di essere seriamente messa in discussione e riconsiderata.
Tu sei un uomo di Diritto... qual è la situazione giuridica italiana riguardo i diritti delle coppie omosessuali rispetto a quella degli altri Paesi occidentali?
Sappiamo che è una situazione desolante. Su “Diritti umani e diritto internazionale”, nel prossimo numero, uscirà un mio commento alla sentenza della Corte di Strasburgo del 21 luglio scorso, nel caso Oliari contro Italia, dove parlo della vergognosa indeterminatezza, confusione e incertezza in cui versa il riconoscimento dei pur minimi diritti dell’affettività omosessuale, come di qualsiasi altra affettività non consacrata dall’istituto matrimoniale. Certo, ci sono sentenze che hanno tentato di rimediare. Altre, come quella recente del Consiglio di Stato che ha ritenuto legittimo che il Prefetto annulli d’ufficio le trascrizioni dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero, che segnano un profondo passo indietro nel cammino giurisprudenziale del franco riconoscimento di un nucleo minimo di diritti e garanzie.
Leggendo le pagine del tuo libro emerge la tua profonda fede religiosa. Cosa provi nel vedere la tua Chiesa rifiutare qualcosa che è parte di te, che ti permetterebbe di esaudire le tue aspirazioni e vivere appieno la tua esistenza? Come vivi questo contrasto interiore, che immagino molto forte?
All’inizio con molta frustrazione, a tratti angoscia, e desiderio di comprendere più a fondo. Questo desiderio poi ha preso il sopravvento, ed anche da questo nasce la Lettera. Ora che sono molto più forte nel considerare molta parte delle posizioni della Chiesa assolutamente … relative, sono serenamente in cammino verso l’appropriazione di una dimensione spirituale profonda, un cammino aperto da Dio a tutti. Da cui discende, necessariamente, e spero che la Chiesa apra gli occhi, il riconoscimento pieno dell’affettività costitutiva dell’essere umano in ogni sua forma, anche quella omosessuale.
Voglio citare alcune righe del tuo libro... “Per vivere appieno la mia libertà e metterla a servizio di Dio, non posso negare ciò che sono, ciò a cui aspiro, ciò che costituisce, in modo variabile e spesso indeterminato, la mia identità”. Il concetto di identità è essenziale. Cosa può succedere se viene a mancare questa identità personale?
Vite non autentiche, condannate alla infelicità, alla confusione, alla menzogna, e, spesso, alla malattia, fisica o psichica, ai livelli più vari: la profonda realizzazione di ciò che siamo, dentro alcuni fondamentali limiti di rispetto della vita e dignità della creazione (non solo dell’uomo, dunque), è la sfida di una vita intera. E’ stata la sfida nella stessa vita del Cristo. E Dio non vuole la nostra infelicità, né vite arrotolate intorno alla menzogna.
Collegandoci sempre al concetto di identità, assistiamo spesso, purtroppo, a casi di ragazzi che si tolgono la vita proprio perché tormentati dalla propria reale o presunta omosessualità, spesso addirittura oggetto di bullismo da parte dei propri coetanei. Che consigli ti sentiresti di dare, anche alla luce della tua esperienza, ad un giovane che sta vivendo una tale crisi?
Il fenomeno dell’emarginazione è forte e persiste. Colpa di una parte della Chiesa cattolica, e colpa di una società ancora troppo impreparata, e pigra, nel prendere atto della complessità della natura umana, degli orientamenti sessuali, della differenza tra sesso e genere. Io mi sentirei di dire di non restare soli, di chiedere sempre l’aiuto di enti, associazioni, dei professori più sensibili, degli amici meno arroganti: è fondamentale non sentirsi e non restare soli, e farsi strada nel cammino della vita con la fiducia di trovare la propria dimensione, il proprio abito. E’ una fatica, questa. Ma questo è fondamentale: non rinchiudersi nel proprio dolore, esprimerlo, narrarlo, condividerlo per poi superarlo, anche a costo di fratture dolorose con il tessuto familiare e sociale d’origine.
Anormalità e imperfezione. Tu dichiari che l'omosessualità ne porta in sé una certa dose. Ma secondo te questo giustifica la paura, la diffidenza e la chiusura che si sono sempre verificate e che continuano a verificarsi? E poi, è vera imperfezione? Specularmente, l'eterosessualità comporta necessariamente la “perfezione”?
Io qui faccio un discorso giuridico – statistico nel dire che l’eterosessualità è la norma, come pure una norma biologica fondamentale è la differenza tra maschile e femminile. Ciò detto, il cuore dell’uomo è un abisso, cioè non lo si esaurisce con alcuni facili schemi e regole di carattere generale. Per me l’omosessualità non certo più imperfetta dell’eterosessualità; nondimeno si pone con una sua specificità, e nel singolo, e nella relazione, che mi pare un fatto di natura, e dunque non giustifica alcuna paura. Forse, può giustificare una prima reazione di sconcerto, come tutte le eccezioni, le variazioni, le dissonanze dalla regola: ma poi la paura o anche il solo disagio vanno superati, altrimenti diventano stolti e, quindi, ingiustificabili.
Nella tua Lettera, oltre al matrimonio paritario, affronti anche un altro tema di
grande attualità, la genitorialità da parte di coppie omosessuali. Un tema che suscita grande scalpore e polemiche. Secondo te, cos'è che provoca quest'ondata di opposizione e quali sono invece i fattori davvero importanti per creare una Famiglia?
Ci sono vari livello di opposizione. Quella apocalittica dei gruppi cattolici più conservatori: e i toni apocalittici non li amo (a meno che non si tratti della Fine dei Tempi, allora sì …). C’è poi un livello di opposizione più meditato, che nasce da alcune domande fondamentali: può legittimamente immaginarsi che la madre surrogata non sia poi la madre che cresce ed educa il bambino? Non è necessario che vi siano figure differenti, maschile e femminile, come sempre è stato? Ecco, io dico: facciamo porre con serenità tutte queste domande e cerchiamo di dare risposte pacate, argomentate, e di procedere, soprattutto, per gradi. La Lettera condivide l’omogenitorialità, perché ho riflettuto sul concetto profondo di famiglia. E mi pare di poter dire, anche se con molti dubbi, che laddove c’è la forte trasmissione di un modello educativo, radicato negli affetti più viscerali, c’è famiglia.
Per concludere, qual è la tua speranza per il futuro? E cosa ti auguri per te e Luca?
Una legge buona che riconosca i diritti delle coppie omosessuali entro l’estate del 20