Umoristico ma con euforia. Il diario di un patriota perplesso negli Usa di Filippo La Porta racconta con una grande semplicità e disponibilità di mezzi umani e culturali il suo viaggio americano intriso di stupore. Non adora né denigra i riti a stelle e strisce, siano essi protestanti o radical chic. Riconosce il peso reale dei suoi valori. Ammira la lealtà degli americani verso il loro paese e ci ricorda con Walzer che più che patria quella americana è una cittadinanza. Questa lealtà ricorda Jimi Hendrix che suona linno americano come omaggio e non come parodia che è amore vero più del nostro patriottismo consensuale e astrattamente risorgimentale resistenziale. Alla fine siamo disperatamente italiani come ricorda Piergiorgio Bellocchio. Patrioti perplessi, appunto. La novità per La Porta è che la pedagogia dello stereotipo negativo ha una sua utilità. Cè dellauto-machiavellismo morale, ma funziona. Lautodenigrazione dei luoghi comuni, sugli italiani sembra finalizzata ad accrescerne la compensazione vantaggiosa. La Porta mette su due binari il viaggio alla Mario Soldati e la riflessione di Carlo Levi con limmaginario americano che ci ha colonizzato da Pulp fiction ai Simpson. Non è semplice sfoggio di erudizione pop o degradata che spesso è elusione culturale - ma perché i ragionamenti arrivano meglio e prima a destinazione. Senza perdere questo bagaglio morale, della favola, ed estetico universale, ma concreto, perché globale, condiviso.
A Manhattan incontra Liesl Schillinger della New York Times Book Review. Confrontandosi con un collega critico militante, La Porta sostiene che gli scrittori italiani tendono a mettersi in maschera, si mostrano in genere molto più radicali o più mitteleuropei di quello che sono. Esorcizzano i confini sociali nella bella pagina. Squisiti stilisti o furbi intrattenitori, anche i più talentuosi come Alessando Piperno, ripiegano sulla commedia. Non mi aiutano a capire il mio paese e i suoi fantasmi. Il migliore ritratto di quello che siamo e migliorando dobbiamo tornare ad essere arriva da una puntata dei Simpson, che quando vengono in Italia a comprare una lamborgotti, godono della cultura italiana dalla musica di Vivaldi al cibo. In quella puntata, la bellezza salvatrice italiana degenera nel design industriale. Un cartello della fabbrica recita: per chi non ha davvero nulla dentro. Cioè è superficiale. Eppure proprio Fellini presente nella puntata ricorda che la superficialità il fare emergere linconscio, far uscire ciò che è dentro, è possibile. Portare con Fellini, o i Simpson, la tragedia in superficie.