Sebbene pochi lo ricordino, la principale associazione italiana che si batte per i diritti degli omosessuali – Arcigay – conta tra i suoi fondatori un prete, Marco Bisceglia, sospeso a divinis perché celebrò una “unione religiosa di coscienza” tra due uomini nel 1975.
Questo per dire che il libro di Eduardo Savarese si inserisce all’interno di un ampio e variegato movimento di opinione formato da cattolici omosessuali italiani che nel corso degli anni si sono spesi non tanto per ottenere dallo Stato laico leggi a loro tutela, quanto per ottenere una benedizione, in qualche caso la semplice fine di una condanna, da parte dei massimi esponenti della loro religione.
Partendo dalla sua esperienza personale di omosessuale che “confida nella Chiesa cattolica più che nello Stato”, Savarese narra brevi squarci della sua vita di coppia con un uomo, descrive la comprensione e l’accoglienza ricevuta da numerosi religiosi che l’hanno seguito nel suo cammino di fede, ma racconta anche la sofferenza di vedersi rifiutare dalla Chiesa il diritto di chiamarsi famiglia. Infine, lo scrittore chiama a raccolta il Grande Inquisitore di Dostoevskij, il Macbeth di Shakespeare, le Operette morali di Giacomo Leopardi, le parole del gesuita e filosofo francese Teilhard de Chardin (e molti altri ancora) a sostegno della tesi secondo cui il matrimonio tra uomini, ma in parte anche la genitorialità omosessuale, non meritano la condanna delle autorità religiose e sono anzi un mezzo di elevazione del singolo. “Per vivere appieno la mia libertà e metterla a servizio di Dio – sostiene l’autore -, non posso negare ciò che sono, ciò a cui aspiro, ciò che costituisce, in modo variabile e spesso indeterminato, la mia identità”.
Stile
Per metà atto di accusa e per metà richiesta di perdono, il libro di Savarese è un pamphlet di agile lettura dove l’autore mischia speculazione filosofica ed esperienza personale tracciando un quadro sofferto di una doppia e combattuta identità che arriva ad autodenunciare il proprio orientamento sessuale come caratterizzato da “una certa dose di anormalità”, salvo poi inscriverlo nella varietà del mondo creato da Dio e per questo intrinsecamente buono. La suddivisione in 12 brevi capitoli permette all’autore di toccare i principali nodi di discussione – la natura dell’amore omosessuale, il vincolo d’amore che lega due uomini, la possibile genitorialità – agganciandoli alle sue letture e alla sua vita, senza disdegnare il riferimento ad avvenimenti d’attualità come il referendum per il matrimonio egualitario in Irlanda, piuttosto che le dimissioni di Benedetto XVI.
Perché tradurlo
Savarese è una voce dissonante, che può irritante tanto i difensori della dottrina cattolica quanto i promotori della battaglia per l’ampliamento dei diritti civili in Italia. Lo scrittore – che già nel romanzo Le inutili vergogne aveva raccontato la difficile strada degli omosessuali cattolici verso l’accettazione di se stessi – ha il merito di testimoniare l’esistenza di un’ampia zona grigia dell’opinione pubblica che riconosce alla Chiesa la supremazia sulle coscienze, ma non può accettarne rigidità considerate oggi eccessive anche in ambienti molto conservatori.
Hanno detto
“Coinvolge la mente e il cuore giacché col cuore e colla mente è stato scritto”
Paolo Isotta, Il fatto quotidiano
“Un cuore messo a nudo, aperto di fronte agli uomini, il proprio corpo di fronte a Dio”
Pier Luigi Razzano, La repubblica