"Quando prendevo possesso della tavola lo facevo da monarca: con queste parole la Barbery inizia il suo libro in cui si raccontano gli ultimi istanti di vita di un critico culinario che ha trascorso lintera esistenza a mangiare cibi, a giudicarli e criticarli, rinunciando volutamente alla sua famiglia che prova disprezzo e odio nei suoi confronti. È un romanzo a più voci, ogni capitolo è occupato dalle riflessioni del critico stesso e del carosello di personaggi (moglie, figli, nipoti) che devono di malavoglia recarsi da lui per concedergli lestremo saluto. È un libro in cui per intere pagine si parla di ogni tipo di cibo, delle sensazioni organolettiche scatenatesi, del piacere del gustare alla ricerca di un sapore primigenio perso nella memoria del nostro critico, che desidera nutrirsi di questo nellistante prima di morire. Naturalmente le descrizioni e gli elenchi dei cibi, dettagliati e scritti con termini mai lasciati al caso, ma sempre ben ponderati, non hanno lintento primario di ingolosire i lettori e far soffrire quelli a dieta, ma sono una metafora della ricerca del senso dellesistenza, sono portatori del messaggio dellautrice che, come già ne Leleganza del riccio, suggerisce di non lasciarsi ingannare dalla semplicità e dalla modestia di persone e cose perché proprio dietro a queste si nasconde un preziosissimo tesoro.
È un invito, quindi, allanalisi, alla scoperta, al superamento della superficie e soprattutto alla consapevolezza che, spesso, nella vita, ciò che si è disprezzato, criticato e snobbato è proprio ciò che, invece, illumina lesistenza, la rende fertile e serena, permettendo un trapasso dolce perché si è trovato lanello che non tiene (per usare parole di Montale): Il punto non è mangiare né vivere, è sapere perché. Certo la ricerca di questessenza ha portato il critico a compiere delle rinunce, a perdere gli affetti tradizionalmente più cari, a farsi odiare. Forse in questo la Barbery vuole trasmettere un altro messaggio al lettore: la ricerca del senso dellesistenza per quanto fondamentale non deve rendere luomo misantropo e solitario, ma deve esserci un giusto equilibrio tra le parti. Non a caso un capitolo centrale è affidato alle riflessioni di Lotte, la nipotina del critico, che racconta un quadro familiare dalle tinte scure e che conclude i suoi pensieri in questo modo: So che sono tutti scontenti, perché nessuno ama la persona giusta, come dovrebbe essere, e non capiscono che ce lhanno soprattutto con se stessi. Tutti pensano che i bambini non sanno niente. Viene da chiedersi se i grandi sono mai stati bambini.