PROLOGO
Non l’avevano mai visto in quelle condizioni. Tremava e non si reggeva in piedi, tanto che Varga e Torregrossa se l’erano caricato in spalla mentre gli altri li scortavano armi in pugno. Zeno li fece entrare nel suo appartamento: era il primo posto che era venuto loro in mente e quello meno pericoloso. Lo lasciarono cadere sul divano e per qualche istante rimasero imbambolati a guardarlo mentre parlava da solo. «Che diavolo sta dicendo?» chiese Zeno, incredulo. «Non lo vedi? È sotto shock» rispose Carmine. «Peggio» intervenne Varga. «Sta parlando con i morti…». Tutti fissarono l’albino come se anche lui fosse impazzito d’improvviso. «Pensi che abbia bisogno di un medico?» gli chiese Carmine. Nessuna traccia della sua solita ironia nella voce incrinata dalla paura. Varga scosse la testa. «Troppo pericoloso, e comunque non potrebbe fare nulla». «Cosa cazzo facciamo allora?». Varga fissò l’uomo imponente che continuava a tremare come un ossesso. Erano stati costretti ad ammanettarlo per impedire che li colpisse o si facesse del male. Non sembrava davvero più lui. «Hai una vasca?» chiese a Zeno. «Sì». «Riempila di acqua bollente, e tu Luca avvisa gli altri e falli venire qui». Mentre lo spilungone correva in bagno e Luca Zorzi chiamava gli altri poliziotti della squadra, Carmine prese Varga per un braccio e lo trascinò da una parte. «Hai controllato se ha ferite?» gli chiese. «Non esternamente…». «Smettila di parlare come un cazzo di stregone. Cosa diavolo facciamo ora?». «L’unica cosa che possiamo fare: aspettare». «Aspettare cosa? Che torni in sé?». Varga posò una mano sulla spalla del collega, che lo guardò stranito: l’albino non era uso a gesti del genere. «Inizia ad abituarti all’idea che potrebbe non tornare a essere quello di prima…». Si fissarono in silenzio per qualche minuto finché Zeno non tornò in salone dicendo: «La vasca è pronta». Varga annuì e fece per avvicinarsi al divano quando Carmine lo trattenne. Aveva gli occhi lucidi. «Hai ragione. Non tornerà più quello di prima… Sarà ancora peggio di prima, capito?» disse trattenendo le lacrime. Varga annuì sperando che l’amico avesse ragione. Lo presero insieme di peso e lo portarono in bagno.
Qualche ora dopo Varga sentì dei rumori provenire dal bagno e si alzò. Avevano fatto i turni per stargli vicino temendo che facesse qual – che stronzata. C’era Carmine con lui in quel momento. Quando lo vide venirgli incontro, vestito e asciutto, se non fosse stato per il sangue che gli sporcava i vestiti e gli anfibi avrebbe detto che non fosse successo nulla. Ma quando fu a pochi metri, Giorgio capì che non era così. Gli occhi erano diversi. Qualcosa in loro si era spento. Per sempre. Dietro di lui Carmine quasi sorrideva come a volergli dire “Te l’avevo detto”. Evidentemente il poliziotto non capiva che l’uomo in piedi nel salone non aveva più un’anima. «Biagio…» sussurrò Varga sorpreso di vederlo in piedi. Si strinsero in un abbraccio. Poi Mazzeo gli porse la mano sinistra, il palmo rivolto verso l’alto. L’albino notò subito che la mano tremava. Molto meno di prima, ma tremava. Poi si soffermò sulla carne ferita dalle manette, e vide che gli mancava l’anello all’anulare. L’aveva perso o se l’era tolto di sua spontanea volontà? Ad ogni modo, Varga ne era felice: finora quell’anello gli aveva portato soltanto guai, come se fosse stato maledetto. «Che c’è?» chiese poi, notando che il poliziotto continuava ad aspettare con la mano tesa. «Dammi una pistola» disse Mazzeo, la voce gelida come i suoi occhi. «Ma…». Biagio spostò gli occhi sugli altri. «Qualcuno mi dia una pistola» disse. «Dove pensi di andare?» gli chiese Varga. «A risolvere questa situazione». «Non c’è più niente da risolvere, Biagio. Abbiamo perso». «Pulisci ciò che c’è da pulire, per favore» disse Mazzeo. «E dammi una pistola». Non era un ordine ma una preghiera. La preghiera di un uomo disperato. Varga annuì. Prese la sua arma e gliela posò in mano insieme a un caricatore di riserva. Qualunque cosa avesse in mente, lui non l’avrebbe fermato. Non più. «Ho bisogno di un’auto». L’albino gli mise in mano anche le chiavi del suo fuoristrada. «Grazie». «Qualsiasi cosa tu stia per fare, aspetta. Non è il momento buono». «Non ci saranno più momenti buoni, ragazzo». «Vengo con te» disse Carmine afferrando il giubbotto. «No. Andate con Giorgio e fate quello che vi dirà di fare. Non ho bisogno di aiuto o di baby-sitter, che sia chiaro». «E tu? Dove vai?» chiese Zeno. «A farla finita». Quelle parole gelarono la casa. Biagio si diresse verso l’uscita, gli altri fecero per seguirlo. «No. State qui» li fermò Varga. «Fate come vi ha detto».
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