La storia di Maria Antonia, affamata di vita e rivalsa, raccontata dalla figlia Ena, ormai anziana, con un orizzonte limitato alla circonferenza del soffitto e del davanzale della finestra, unica possibilità di sbirciare ancora il mondo dal letto dove è costretta a starsene immobile dopo la rottura del femore. Condizionata dalle superstizioni, l’anziana donna si aggrappa ai ricordi sbeffeggiando la vita nell’attesa della morte, che è certa arriverà a giugno. Se ne è convinta dopo che da bambina, mentendo, ha raccontato di un sogno premonitore frequente: la morte l’avrebbe colta nel mese di giugno, e così Ena finisce, come la sentinella dell’aneddoto medioevale di Hanna Arendt in “Politica e menzogna”, per credere alla bugia che lei stessa ha creato.
La vita delle due donne è definita dall’autrice come due rette parallele: la storia di Maria Antonia si interrompe dove inizia quella di Ena, che racconta mentre si prepara a calare giù il sipario sulla vita.
Insofferenti entrambe alle convenzioni morali, combattive e tuttavia distanti. Maria Antonia si è resa forte per circostanze avverse della vita. Poco più che ventenne, intraprendente, di generosa bellezza, sfacciata, decisa nei suoi intenti – come quello di scacciare la miseria prendendo un titolo di studio, pagato con lavori da domestica, eseguiti di nascosto per non rivelare la sua povertà, esattamente come le scarpette che ogni settimana tinge con colori diversi e sgargianti da esibire nelle serate da ballo presso la casa di una ricca famiglia di Nisida – riesce a fare innamorare di sé Augusto, inimicandosi la possidente famiglia che mal tollera una “selvatica” disobbediente alle regole. Da Spalato, in Croazia, dove aveva raggiunto il marito, fugge con la neonata attaccata al seno, diretta a Napoli. Patisce la fame, la miseria più disonorevole, si scoprirà imbruttita dall’egoismo nel ringraziare la sorte per non essere stata la prescelta di onnivori appetiti da parte di soldati, vedrà i fratelli partire per i campi di concentramento, e quando le sarà comunicata la morte del marito per fucilazione, non avrà più neanche lacrime per piangerlo, perché a lei, che non sa invecchiare, la morte per dispetto fa venire la smania di vita. Continuerà a dare scandalo, sposando in un’età considerata troppo matura per l’epoca un giovane studente di medicina.
Ena è stata padrona del suo corpo ma forse meno della vita. Sarcastica e pungente, è assistita da una badante straniera, alla quale, ostinandosi a rifiutare un ruolo composto e più indicato per una donna della sua età, confiderà senza pudori memorie dei suoi amanti, il sesso scoperto in tarda età, l’amicizia con Giuseppina, che resta muta al telefono dopo un ictus e corre al suo capezzale. E l’ultimo pensiero è che non è ancora giugno.
Un romanzo di lessico e dinamiche famigliari, curato nel linguaggio, che ben esplica la psicologia delle due donne, spesso lanciate in cadenze dialettali, alle quali si alternano sofisticati passaggi di sprezzante ironia.