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I DUELLANTI di Joseph Conrad Invito alla lettura di Francesco Bollorino

Autore: Francesco Bollorino
Testata: Psychiatry Online
Data: 5 novembre 2015
URL: http://www.psychiatryonline.it/node/5898

Credo che in tanti conoscano la storia raccontata nel romanzo breve di Conrad “The Duel, A Military Tale” scritto nel 1907 durante un breve soggiorno dell’autore nel sud della Francia a Montpellier. In tanti, infatti, anche per merito degli innumerevoli passaggi televisivi, hanno visto e penso ammirato lo splendido film di esordio, “I Duellanti”, di Ridley Scott ispirato in maniera molto precisa al testo da cui non si distacca mai se non come vedremo nel finale. La critica ha sempre considerato questo racconto come un’opera minore del genio anglo-polacco, lontana dagli abissi di un Lord Jim, di un Cuore di Tenebra o di Linea d’Ombra eppure nella sua apparente e magistrale, per me, levità della scrittura il testo merita non solo un’attenzione diciamo così letteraria ma pure una attenta riflessione di natura psicoterapica che mi ha portato a proporlo essenzialmente come un invito alla lettura e alla sua scoperta ai lettori di Psychiatry on line Italia. La storia, che prende spunto da un episodio vero scoperto casualmente dall’Autore leggendo un giornale, narra di un duello durato 15 anni tra due ufficiali napoleonici che attraversano l’avventura militare di Napoleone iniziando a sfidarsi a Strasburgo e continuando a farlo in ogni occasione possibile, pur procedendo nella loro carriera militare ma non per questo restii a sfidarsi ogni volta che la cosa è possibile senza che in realtà vi sia una vera “ragione” per farlo in una logica dove il conflitto cruento diviene una sorta di ragione di vita per entrambi pur nella differenza notevole dei caratteri e dei modi: aristocratico e compassato D’Hubert, irrefrenabile e cocciuto Feraud, accomunati però da un unico destino militare e personale. Sullo sfondo la storia dell’Impero dalla sua ascesa alla sua rovinosa caduta. Nonostante la Critica, come dicevo, lo collochi tra le opere minori di Conrad sottolineando come rispetto ai suoi romanzi maggiori il racconto “pecchi” in profondità e in significato simbolico io trovo invece che la libertà di scrittura che Conrad si è regalato nell’inverno del 1907 e la scrittura di getto (molto diversa dal suo lavoro usuale meticolosissimo anche per l’uso di una lingua appresa l’inglese rispetto alla lingua madre polacca) ci abbiano regalato un piccolo capolavoro che merita l’attenzione io SPECIALMENTE di chi si occupa di salute mentale. Fiumi di inchiostro sono stati usati per commenti e interpretazioni psicoanalitiche dei Romanzi di Conrad, che in effetti si prestano molto bene ad approfondimenti di tal fatta. Eppure come scrive Giorgio Montefoschi sul Corriere della Sera (23 settembre 2002): “Conrad pubblicò per la prima volta in volume Cuore di tenebra, presso l' editore Blackwood, nel 1902. In realtà, il romanzo era già apparso a puntate, in rivista, nel 1898. In quegli stessi anni - uscì, senza calorose accoglienze, nel 1899 - Freud scriveva l'Interpretazione dei sogni. E' difficile immaginare che i due si conoscessero. Certo è che la coincidenza non è affatto casuale: se è vero che le idee profonde circolano come fiumi carsici nelle viscere della terra e - simili alle ninfe dell' antichità, trasformate in sorgenti che s' inabissano - riemergono, magari contemporaneamente, a Londra e a Vienna ”. Pure “I duellanti” non si sottrae a parer mio a questa carsicità offrendoci anzi una lettura, ancorchè involontaria, but who does care of it?, di assoluta impronta psicoterapica. Sotto le mentite spoglie di un’assurda faida personale intrisa di onore, aggressività, accettazione ineluttabile, si cela per me, nelle pagine del racconto, la teatralizzazione del conflitto nevrotico e la chiave di soluzione dello stesso con una mirabile aggiunta che definirei “tecnica” nel suo bellissimo finale. Cosa è infatti questo infinito duello tra gli ufficiali D’Hubert e Feraud se non la rappresentazione del conflitto tra l’emergere delle pulsioni inconsce e il tentativo frustrato dell’Io di incanalarle verso qualcosa di meno distruttivo o insensato del sintomo? Feraud è l’Es, D’Hubert è l’Io incapace di costruire difese adeguate perché affascinato e legato alle sue pulsioni che gli impediscono di crescere fino al drammatico e catartico finale. Come in un ritorno del rimosso Feraud ricompare, intatto nella sua cieca ferocia, nella vita apparentemente rasserenata di Armand D’Hubert costringendolo, direi spingendolo a ricominciare come se nulla in 15 anni fosse cambiato tra loro. Nell’ultimo duello i due contendenti si affrontano rincorrendosi tra le rovine di un castello con due pistole in mano ma Feraud sbaglia i due colpi a sua disposizione e si ritrova davanti D’Hubert con le pistole cariche. Ecco il passo del testo: “Il Generale D’Hubert abbassò con cura il cane delle pistole. L’operazione fu osservata dall’altro generale con sentimenti contrastanti. “Mi hai mancato due volte – disse freddamente il vincitore – l’ultima da quasi mezzo metro. Stando alle regole dei duelli, la tua vita mi appartiene. Questo non significa che voglia togliertela ora” “Non so che farmene della tua indulgenza” – boffonchiò cupo il generale Feraud. “Permettimi di farti notare che la cosa mi lascia affatto indifferente. – disse il generale D’Hubert. (…) – Non avrai la pretesa di dettarmi casa devo fare di ciò che è mio” Il generale Feraud parve stupito e l’altro riprese: “Mi hai costretto per un punto di onore a tenere la mia vita a tua disposizione, diciamo così per quindici anni. Benissimo. Ora che la questione si è risolta in mio favore, io farò della tua quanto mi pare e piace, in base allo stesso principio. La terrai a mia disposizione finchè ne avrò voglia. Né più né meno. Ritieniti vincolato sul tuo onore fino a nuovo ordine. (…) Non posso certo stare a discutere con uno che, per quanto mi riguarda, ha cessato di esistere”. Conrad reifica nel racconto la risoluzione del conflitto interiore che può avvenire solo se l’Io e, io aggiungo, il terapeuta riesce a parlare alle pulsioni con il loro linguaggio che non può essere tradotto per essere compreso e divenire efficace. Ridley Scott sceglie di finire la storia qui mentre Conrad sceglie di andare avanti e inserisce nel finale il concetto di integrazione che sola può garantire una equilibrata vita ad ognuno di noi. Riconoscere le nostre parti bambine e bisognose come un pezzo della nostra storia che ci ha portato ad essere ciò che siamo da adulti: tutto questo è detto nel magnifico finale che inserisco alla fine di questa che più che una recensione è un caldo invito alla lettura di un racconto che forse troppo pochi conoscono. (…) «Se uno dei nomi del vostro bam­bino fosse stato Na­po­leone, o Giu­seppe, o an­che Gioacchino, av­rei po­tuto con­gratu­larmi con te per il lieto evento con più cuore. Sic­come hai stimato bene di dargli i nomi di Charles, Henri, Ar­mand, io rimango con­fer­mato nella mia con­vinzione che tu non hai mai amato l’Im­pe­ra­tore. Il pensiero di quel su­blime eroe incatenato a una roc­cia nel mezzo del­l’O­ceano selvag­gio rende per me la vita così scarsa di valore che con vera gioia riceverei il tuo ordine di bru­ciarmi le cer­vella. Il suicidio, ri­tengo, mi è vie­tato dall’onore. Ma tengo la pi­stola ca­rica nel cas­setto. ». Madame la Générale D’Hubert alzò le mani al cielo di­spe­ra­ta, dopo la let­tura di quella rispo­sta. « Vedi? Non vorrà mai riconciliarsi,- disse il ma­rito - Bi­so­gna che mai, a nessun co­sto, ri­e­sca a sa­pere da chi gli arri­va il danaro. Sa­rebbe ter­ri­bile. Non reg­ge­rebbe.» « Sei un brave homme, Armand » - disse Ma­dame la Géné­ra­le, con ammi­ra­zione.« Mia cara, io avevo il diritto di bru­ciar­gli le cer­vella; ma non avendolo fatto, non pos­si­amo la­sciarlo morire di fame. Ha per­duto la pensione ed è assolu­ta­mente in­ca­pace qu­al­sia­si cosa al mondo per se stesso. Dob­biamo prenderci cura di lui, in se­greto, sino alla fine dei suoi giorni. Non devo forse a lui il mo­mento più esta­siato della mia vita?……………Senza la sua stu­pida fe­rocia, mi sa­reb­bero oc­corsi degli anni per scoprirti. E’ straordi­nario come quel­l’uomo in un modo o nel­l’al­tro è riu­scito a le­garsi a miei senti­menti più pro­fondi.».