Leggere Boussole mentre dilaga un folle e iconoclasta sentimento anti-occidentale è qualcosa che va ben oltre la semplice letteratura o l'erudizione storica, di cui pure il libro è stracolmo. Mathias Enard, probabilmente il più stimato e letterario tra gli scrittori francesi della sua generazione (è nato nel 1972), ha vissuto e studiato in Medio Oriente, traduce dall'arabo e dal persiano e nelle sue opere precedenti ha dedicato uno spazio non trascurabile al rapporto tra Oriente e Occidente, tra Europa e Asia, o Africa, insomma tra un “noi” piuttosto sfilacciato e un “loro” altrettanto fantasmatico. Questo rapporto diventa il cuore e il tema portante del nuovo romanzo, un romanzo che attraversa i secoli ma con i piedi piantati nel presente. Protagonista è Franz Ritter, un musicologo austriaco che ha dedicato la sua vita allo studio delle influenze reciproche tra musica orientale e occidentale; come già in Zona (Rizzoli) – insieme a quest'ultimo, il libro più ambizioso di Enard – il racconto si consuma nel monologo interiore del personaggio principale e nel chiuso del suo appartamento viennese (lì era un vagone ferroviario). Franz soffre di una malattia sconosciuta, forse mortale, e l'insonnia lo inchioda all'inesausta ruminazione di ricordi e riflessioni colte, riletture di testi compulsati tra biblioteca e pc, divagazioni culturali e sporadici scivolamenti nelle allucinazioni ipnagogiche di brevi dormiveglia. Al centro di tutto c'è Sarah, brillante collega universitaria e compagna di viaggi orientali (Siria e Iran soprattutto), cui Franz è spiritualmente e intellettualmente legato da un amore non corrisposto. Donna in fuga, luminosa e irrequieta ricercatrice di legami sotterranei tra culture e civiltà, Sarah è teorica, storica e fautrice di una “costruzione comune”, un mondo di diaspore e ibridazioni, immagine di un'Europa globale dove ogni città si presenta come potenziale “Porta d'Oriente”.
Il pensiero di Sarah sembra fondersi nella mente di Franz insieme a quello di innumerevoli altri arabisti, viaggiatori, artisti, giornalisti, in un lungo e vorticoso flusso di memoria: un denso groviglio di date, luoghi, vite e racconti dove il tema dell'alterità si precisa per associazioni, stratificazioni, rimandi tra politica e intimità, costruzioni teoriche e destini esemplari. Musica, letteratura, amore, diplomazia, tutto è connesso nella veglia del protagonista. Colpisce la quantità di saperi e di erudizione che Enard fa risuonare in questo corposo romanzo, dove nella costruzione formale e stilistica riverbera la sensibilità del musicologo e dove è forse Gustav Malher, tra i moltissimi compositori citati, quello più presente: come le sue sinfonie, le pagine di Boussole «non tornano mai indietro, non ricadono mai in piedi». Ne emerge uno strano ibrido, tra romanzo-saggio, libro di viaggio, rêverie orientalista, e quel narrare malinconico per digressioni erudite e frammenti del passato di cui Winfried Sebald è stato il massimo esponente. Bisognerà inoltre aggiungere il gusto romanzesco della biografia più o meno artefatta (in Francia si parla di biofiction) cui molti autori d'oltralpe si dedicano spesso con ottimi risultati (Olivier Rolin, Patrick Deville, entrambi tradotti in italiano) ma che in Italia pure conta qualche eccellente seguace (pensiamo per esempio a Edgardo Franzosini, il cui ultimo bel libro su Rembrandt Bugatti è recentemente uscito per Adelphi, o a Filippo Tuena che si muove tra vite di esploratori e artisti – spesso musicisti, come Enard).
Qualche affioramento più vistoso di accenti accademici o un lirismo a tratti fin troppo teso possono distrarre da quella che è comunque una grande padronanza di mezzi e capacità affabulatoria. Ma è il peso di un libro come Boussole nell'attuale scenario mondiale che ne fa un'opera urgente e importante: l'integralismo islamico, evocato a tratti, è onnipresente sottotraccia, come sottotraccia sono presenti le storture occidentaliste, per così dire. Boussole è un commovente romanzo d'amore e un trattato di geopolitica culturale, una lancia spezzata contro ogni distruzione e irrigidimento, un inno in tono minore al meticciato sovra- (o meglio sotto-) nazionale, al di là di ogni facile ecumenismo e nella tensione di una polarità che non può e non deve mai interrompersi. La bussola paradossale di Franz segna sempre l'Est: l'orientalismo di Enard, a differenza di quello di cui parla Edward Saïd, non è tuttavia strumento di dominazione, ma scavo archeologico e sentimentale nel profondo della nostra cultura, in «quell'aporia tra il sé e l'altro che è l'identità».