Svetlana Aleksievich, autrice bielorussa nata in Ucraina nel 1948, ha vinto il premio Nobel per la letteratura 2015. La decisione è stata annunciata oggi poco dopo le 13 dall’Accademia di Svezia, che ha motivato il riconoscimenton lodando “i suoi scritti polifonici, monumento alle sofferenze e al coraggio del nostro tempo“. Cronista, giornalista d’inchiesta e scrittrice, Aleksievich nelle sue opere ha raccontano in presa diretta i principali eventi che hanno caratterizzato la storia dell’Est Europa, come la caduta dell’Urss, Chernobyl, la prima guerra in Afghanistan.
Lo stile e l’approccio sia giornalistico sia narrativo di Aleksievich è sempre stato caratterizzato dal racconto dei grandi fatti storici attraverso la prospettiva degli ultimi, dalle donne soldato durante la seconda guerra mondiale (La guerra non ha un volto femminile, 1985) ai tanti suicidi dopo il crollo dell’Unione Sovietica (Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo, 2014).
Nei suoi due libri forse più conosciuti e intensi, Preghiera per Chernobyl (2002) e Ragazzi di zinco (2003), racconta in prima persona quei fatti così tragici che hanno caratterizzano Ucraina, Bielorussia e le zone limitrofe. Dell’incidente nucleare ha cercato di portare a compimento una “ricostruzione non degli avvenimenti, ma dei sentimenti“. Per quanto riguarda il racconto delle vicende dei giovani soldati (ma anche le loro famiglie) inviati in missione in Afghanistan all’inizio degli anni Ottanta, ha invece narrato il “lungo corteo di una umanità martoriata e piagata” a simbolo delle “miserie e degli orrori di questa guerra e di tutte le guerre“.
Nel suo sito ufficiale spiega: “Ho sempre cercato un genere che fosse il più adatto alla mia visione del mondo, che esprimesse come le mie orecchie sentono e i miei occhi vedono. Ho cercato molto e finalmento ho scelto un genere in cui le voci umane parlassero di per sé.” Un approccio che mette, dunque, al centro la persona e la sua relazione con la Storia: “Nei miei libri persone reali parlano dei grandi eventi della nostra epoca, come la guerra, il disastro di Chernobyl, la caduta di un immenso impero.“
Sempre avversa a ogni tipo di regime totalitario e dunque anche molto critica nei confronti del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, che l’accusava di essere un’agente in incognito della Cia, è stata costretta nel 2000 a lasciare il suo Paese, rifugiandosi a Parigi, in Svezia e poi a Berlino. Solo nel 2011 Aleksievich è tornata a Minsk.
Le sue opere, tradotte in più di quaranta lingue e premiate con riconoscimenti internazionali (Premio per la pace della Fiera di Francoforte, 2013; Prix Médicis essai, 2013; Premio Masi Grosso d’Oro Veneziano, 2014), sono pubblicate in Italia da Edizioni e/o e da Bompiani.