Nel 2015 sto rielaborando i miei gusti.
Inconsapevolmente, ma lo sto facendo.
O forse l’ho già fatto.
Niente di tragico, attenzione. Non è che mi sia innamorato di un uomo. O di un cavallo. Non è che mi sia reso conto che il mio fisico abbia un impellente bisogno di risvoltini alle caviglie. E non è neanche successo che abbia scoperto il meraviglioso mondo di X Factor e Quarto Grado.
Banalmente, molto più banalmente, i miei gusti letterari stanno mutando.
Scorrendo lentamente la lista delle mie letture del 2015 mi sono reso conto che, per la prima volta in 10/15 anni, ho letto molti più libri italiani che stranieri.
(sì, ho una lista dei libri che ho letto. Sai com’è, quando sono più di 3 e non sono tutti di Fabio Volo, non te li ricordi a memoria e compili una lista. Sarò supponente e presuntuoso, ma le poche cose che mi appassionano, io voglio ricordarmele. Cazzo!)
Dicevamo, Italia.
Strano ma piacevole, una volta tanto non sono Lansdale e Palahniuk a farla da padroni nella mia libreria. Quest’anno ho conosciuto un po’ di valenti scrittori italiani che mi hanno fatto appassionare non poco alle loro opere. Questi, a loro volta, me ne hanno suggeriti altri, poi ci si sono messi anche gli amici a consigliarmi roba nostrana.
E tra le letture passatemi dagli amici è spuntato questo sorprendente romanzo tricolore.
Ambientato durante i mondiali di calcio del 1994, Piccola osteria senza parole è un gradevole, gradevolissimo romanzo di popolo piazzato nel mezzo del nord est più profondo, in un immaginifico paesino chiamato Scovazze, dove il bar è il centro del mondo, il rapporto tra bestemmia e parola normale è 1 a 5 e il vino prende il sopravvento sull’acqua (rapporto 10000 a 0).
Il 17 giugno 1994, in un giorno come gli altri, il terronissimo Salvatore Maria Tempesta arriva a Scovazze e, come dicono i critici bravi, stravolge l’equilibrio di questo tranquillo paesino ai confini tra Veneto e Friuli. La voce narrante che racconta tutto il romanzo, e che appartiene a un giovane avventore del bar Punto Gilda, descrive l’ingresso di Tempesta così:
Da queste parti uno straniero lo riconosci al volo.
Anche perché non ne passano mai. L’ultimo, mi hanno detto, risale a una mattina di novembre di un paio d’anni fa. Un agente di commercio che doveva prendere l’autostrada ed era finito sul viottolo di Scovazze. Salvatore Maria Tempesta invece entra al Punto Gilda con l’ultima luce di una giornata estiva che va spargendosi sulla campagna. È venerdì diciassette e questo momento lo ricorderò per sempre.
Il come, il quando, il quanto e il perché la vita di Scovazze venga stravolta dall’arrivo dello “straniero”, quelli ve li scoprite da soli, chi mi conosce sa che le mie “recensioni” durano poco e sono molto, molto vaghe. Mi permetto di consigliarvi questo libro perché non è pretenzioso, ma non è neanche banale. Fa ridere, ma è pure un mezzo giallo. Parla di tette e slot machines, ma pure di lavoro nei campi e occhiali da vista. Parla di vecchi che non stanno zitti un attimo e di giganti che la parola non sanno neanche a cosa serva. Parla di razzismo sfumato e di altruismo malcelato.
Massimo Cuomo si occupa di nuove tecnologie e scrive romanzi (due, fino a oggi) e a noi ci piace perché è chiaro, pulito, e racconta la vita semplice così come va raccontata, con le parole di chi la vive.
Accattatevillo, che ne vale davvero la pena.
Il LettoreDisoccupato vi saluta e vi rimanda al prossimo sproloquio.
Siate pazienti se ci metto un po’ a pubblicare, tra un mese faccio quarant’anni e non è solo la mia pelle che comincia a perdere tono e vigore…
Il vecchio Giò.