IL VUOTO normativo c'è, da tempo si dibatte in Parlamento, come uno spettro appare il decreto legge, lo si rianima durante le campagne elettorali, puntualmente si rinvia. Intanto la Corte europea dei diritti dell'uomo condanna l'Italia per l'assenza di riconoscimento legale alle coppie omosessuali, la cattolicissima Irlanda è il primo paese al mondo a introdurre in Costituzione il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Eduardo Savarese, magistrato, nella "Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma" (Edizioni e/o), auspica che il matrimonio omosessuale sia percepito come un «completamento della storia e della tradizione», non una sfrenata corsa al progresso, ma il frutto di una meditata evoluzione di mentalità, rivoluzione di costume e terminologica.
Un progresso che compia un radicale, concreto, per nulla ipocrita, passo verso «una dimensione di consapevolezza condivisa dell'umanità, ove non sia più percepita come una grave ferita alla nozione tradizionale di matrimonio (religiosa, morale, e linguistica) la possibilità che a sposarsi siano due uomini o due donne».
Un Paese che si sbarazzi, dunque, di "inutili vergogne" – per parafrasare il romanzo precedente di Savarese, dove già emergevano con potenza narrativa i temi di sesso, fede, peccato – ma anche la Chiesa: che non condanni la sua natura, la riconosca come le altre, «senza avere paura dell'uomo e della sua libertà».
E Savarese da omosessuale e cattolico praticante scrive, articola il suo pensiero nella lunga lettera-saggio sui nodi del nostro tempo, li insegue per affrontarli, racconta della propria adolescenza, l'amore per il compagno Luca, per Cristo.
Un cuore messo a nudo, aperto di fronte agli uomini, il proprio corpo di fronte a Dio.