Il cuore nero del miracolo infranto
Autore: Benedetto Vecchi
Testata: il manifesto
Data: 29 settembre 2005
Timisoara, provincia di Trento, o di Treviso, ma anche di Padova, Verona, Vicenza e perché no di Pordenone, visto che è in quella città rumena che gli industrialotti del Nord-est stanno spostando le loro fabbrichette. I padroncini italiani sentono sul collo il fiato dei cinesi, che con le loro merci prodotte e vendute a basso prezzo stanno scalzando dagli scaffali dei negozi il made in Italy, rosicchiando così gran parte dei profitti degli anni Ottanta e Novanta. Ma la "delocalizzazione" in terre rumene deve essere fatta nel migliore dei modi possibili. Ad essere esportati non sono tanto i macchinari, quanto il modello sociale e produttivo della cosiddetta "terza Italia": super lavoro, evasione fiscale, aggiramento delle leggi e, soprattutto, quel "capitale sociale " costruito con pazienza negli anni, grazie all'intreccio virtuoso, si fa per dire, con la politica, ma anche con le varie mafie che hanno usato il volto rispettabile del nord-est per riciclare denaro sporco. Omicidio nella nebbia Massimo Carlotto è tornato, dopo la parentesi "torinese" di Niente più niente al mondo, a sondare il buco nero rappresentato dal nordest. Questa volta però ha un compagno di viaggio, Marco Videtta, che, anche se vive e lavora a Roma - sceneggiatore, ma anche produttore tv -, dimostra di conoscere molto bene quella realtà. Il titolo di questo romanzo a quattro mani è un inequivocabile Nordest (edizioni e/o, pp. 201, 15 euro). Un classico noir, con un omicidio, un investigatore improvvisato, che è anche voce narrante della storia, alcuni indiziati, una biologa d'assalto, un carabiniere che vorrebbe tanto scoperchiare il nido di vipere che tiene in pugno quel paesino di provincia, ma che ha le mani legate da un magistrato che non capisce mai niente di ciò che gli accade intorno, eccetto il fatto che non deve pestare i piedi ai potenti. La storia prende il via una sera di inizio autunno, quando comincia a scendere la nebbia che rende tutte sfumato. Nella piazza del paese scorrazza solitario un cherokee con alcuni balordi pieni di cocaina in cerca di una preda da spennare o da violentare, mentre una giovane donna fasciata da un tailleur parcheggia la sua city car vicino a una villetta. Deve incontrare l'amante, un uomo che le ha rovinato la vita. Continua a ripetersi che è l'ultima volta che lo vedrà, perché da lì a pochi giorni sposerà il rampollo di una delle potenti famiglie del paese. Ma ad aggirarsi nei paraggi c'è anche un uomo, capelli lunghi, vestiti trasandati e sporchi. Anche lui è a caccia di qualcuno e i sentimenti che lo guidano trasudano livore e propositi di vendetta. La ragazza entra nella villetta: ne uscirà solo morta. A questo punto, il romanzo si popola di altre voci narranti, il cui filo rosso è costituito dal promesso sposo, ultimo discendente di una famiglia di avvocati che hanno sempre vinto tutte le cause e che sono da sempre il braccio legale dei padroni locali. Il giovane scoprirà che la sua amata lo tradiva e suo padre, gran maestro di una fondazione che raccoglie tutti gli industrialotti del circondario, assicura il suo aiuto nelle indagini. E' ormai luogo comune sostenere che il noir riesce laddove falliscono le scienze sociali nel descrivere mutamenti economici, culturali, antropologici. A patto però che non si limiti a registrare la tassonomia delle trasformazioni, puntando a mettere a fuoco un tema e da quella parzialità, o meglio punto di vista, offrire un ampio panorama della realtà sociale. E Carlotto e Videtta non deludono neanche su questo aspetto. Acquisito il fatto che il nord-est è una delle regioni più ricche d'Italia, che ha conosciuto un processo di industrializzazione basato sulle piccole e medie imprese, entrate in crisi con l'ingresso a pieno titolo di cinesi, tailandesi e malaysiani nell'economia mondiale, nella bassa padana c'è il problema del passaggio della staffetta dai padri ai figli. Varrebbe la pena rispolverare il vecchio adagio dei Buddenbrook, là dove Thomas Mann scriveva che una generazione accumula, la successiva consolida e la terza dissipa ciò che hanno fatto le generazioni precedenti. Nel nordest è in atto un fenomeno simile, ma al tempo stesso diverso: una generazione, quella dei padri, ha accumulato ricchezze, mentre i figli non intendono proprio dissipare, ma darsela a gambe levate con il bottino, visto che considerano quello stile di vita una cappa di piombo da cui liberarsi appena possibile. Non a caso, uno dei protagonisti del romanzo di Carlotto e Videtta cita un'inchiesta tra i giovani veneti al di sotto dei trent'anni, secondo la quale la maggioranza di loro non pensa proprio di seguire le orme dei padri. Così, se sono ricchi tendono a frequentare l'università, ma per laurearsi in materie che con i capannoni industriali dei padri non hanno nessun rapporto. Possono diventare archeologi, biologi, dj, artisti, oppure piccoli criminali. Lo stesso si può dire dei figli degli operai che riescono ad andare all'università: l'unica cosa certa è che per il futuro non pensano di replicare le vite dei padri, perché il tanto decantato senso del sacrificio e l'etica del lavoro sono fardelli di cui liberarsi con ogni mezzo possibile. Basta entrare in una discoteca il sabato sera e scorrerà sotto gli occhi un fiume di pasticche, mentre basta parlare più di dieci minuti con un giovane o una giovane per apprendere che il prozac e altri psicofarmaci vengono buttati giù manco fossero caramelle. In fuga dal lavoro. Che questo ambivalente rifiuto del lavoro di fabbrica stia diventando un fenomeno di massa lo attestano le centomila presenze alla rassegna "Pordenonelegge.it". Una cifra che cozza con le inchieste sulla bassa scolarizzazione del nord-est e che attesta, semmai, la crescita di una forza lavoro intellettuale in fuga dai capannoni industriali. Peccato sia destinata a entrare nell'inferno della precarietà, norma dominante nell'industria culturale e dell'intrattenimento. E se la produzione di scarpe o di macchinari viene spostata altrove, nel nordest, come anche in tutti i luoghi della terza Italia, da Mantova a Modena a Bologna, la produzione di eventi culturali, cioè di merci culturali sta diventando lo sbocco di una realtà sociale dove circolano comunque tanti soldi. Ciò che però interessa gli autori di Nordest è che il capitalismo delle grandi famiglie non solo è incalzato dai cinesi, ma anche da questa defezione di chi dovrebbe prendere il posto dei padri. E nel romanzo il rapporto tra padri e figli è segnato da conflitti, ipocrisie, tradimenti. Ma attenzione, la defezione portata avanti è tutto fuorché liberatoria. Ha spesso la tonalità emotiva della nevrosi, della follia, della rapina, del pestaggio razzista contro i "negri" che insidiano le donne bianche. Allo stesso tempo, i padri non sono proprio quelle persone integerrime che dicono di essere. Organizzano il commercio dei rifiuti con la camorra, riciclano denaro sporco delle mafie rumene, croate, albanesi e chi più ne ha più ne metta. Non è certo la prima volta che nei noir di Carlotto emerge con nettezza l'intimo legame tra criminalità organizzata e mondo degli affari, ma nel romanzo scritto con Videtta la fondazione che tiene le redini dell'economia nel paesino somiglia più al consorzio di famiglie mafiose del serial dei Soprano che non ad una confraternita di industrialotti che si mette insieme per reggere la sfida della globalizzazione. Ma in Nordest c'è pur sempre un omicidio da indagare e un assassino da catturare. E come in ogni noir che si rispetti tutto sarà svelato in un finale doveè difficile trovare carnefici e vittime, perché le parti in commedia sono intercambiabili. Il capitalismo familiare che scorre lungo il Piave non prevede buoni e cattivi, ma solo rivolta e fuga. Che da sempre sono le uniche scelte sensate da fare.