Parola chiave del Sillabario delle emozioni: madre.
Leggendo il dizionario
madre (ant. matre) s. f. [lat. mater -tris]. – 1. [donna che ha concepito e partorito, vista nella sua relazione coi figli stessi: m. affettuosa, snaturata; diventare m.] ≈ angelo del focolare, (non com.) genitrice, (fam.) mamma, (merid.) mammà. ‖ (tosc., region.) babbo, padre, (fam.) papà. ⇑ genitore. ↔ ‖ *figlio. 2. [appellativo e vocativo che si premette ai nomi delle suore: m. Teresa; la m. badessa] ≈ sorella. 3. (fig.) [ciò che dà origine a qualcosa: l’esperienza è m. della scienza] ≈ causa, fonte, matrice, origine. ↔ effetto, figlia. 4. (fig., amministr.) [parte di un blocchetto a due moduli, che si conserva come documento per accertamenti, mentre l’altro modulo si consegna come ricevuta] ≈ matrice. ↔ ‖ *figlia.
Leggendo “Maremadre” di Cristina Dotto Viglino (edizioni e/o)
“Mia madre mi portava dietro con la naturalezza di una femmina di scimmia che si porta il cucciolo appeso al collo. Mi sentivo ed ero un’appendice del corpo di lei. Ne assorbivo la forza e il calore. Ne percepivo il coraggio e la libertà. E continuavo a bere il suo latte attraverso le sue parole, quando ormai ogni svezzamento era ricordo antico. Vivevamo in simbiosi, ma nella nostra simbiosi ognuna respirava il suo spazio”.
Basterebbero il titolo, Maremadre, e questa manciata di righe – scelte tra le molte papabili – per capire cosa troverete nel bellissimo memoir – sarà davvero come sfogliare un vecchio album di fotografie o guardare una lunga sequenza di diapositive – di Cristina Dotto Viglino, scrittrice e poetessa genovese che con le parole a tratti ricama, scolpisce, dipinge. Maremadre. Sentite come suona questa parola. Dire madre ti riempie cuore, bocca e cervello: pensi alla natura, alla vita che esplode, all’origine di ogni cosa. Ti chiedi subito che madre hai avuto tu o che tipo di madre sei o potrai essere. E poi il mare. Per i piccoli il mare non ha inizio e non ha fine. La domanda che ogni bambino avrà fatto almeno una volta nella vita è: ma poi laggiù, dove si tuffa il sole, se vado avanti, si cade? E se cado qualcuno mi prende? Maremadre mi fa pensare a un ecosistema ricchissimo e misterioso, possibile da scoprire in tutta la sua bellezza solo se si ha il coraggio di nuotare sott’acqua. Ma mi fa anche pensare a una culla, una tana, un rifugio. Questo libro è una delle più belle dichiarazioni d’amore che io abbia mai letto e sono stati numerosi i momenti in cui, complice una lingua appassionata che sceglie con cura gli aggettivi e sa dosare i sentimenti, rendendone la potenza senza mai scadere nella ridondanza, la commozione ha avuto la meglio. Il coinvolgimento che ne ho tratto è amplificato proprio dall’idea che ad amarsi così siano due figure in eterna contraddizione: madre e figlia. La madre resta sempre, in queste pagine, lo specchio in cui guardarsi. Riconoscendosi, certamente, ma anche percependosi profondamente diverse. Non si tratta solo di scontro generazionale – l’autrice è nata nel 1966 e la madre, sindacalista della CGIL del Porto di Genova, ha attraversato gran parte del ‘900 – ma anche di necessarie, e benvenute, differenze caratteriali. Lo scontro prevede però sempre una riconciliazione. Perché alla base ci sono il rispetto, il confronto, il dialogo, la crescita che è diretta conseguenza del mettersi in discussione, in gioco. C’è la volontà, anche atto istintivo di leonessa, di accompagnare per mano senza mai lasciare la presa. Di inclusione, quasi inglobamento. L’amore che Cristina, anche la gratitudine, il rispetto, l’ammirazione, nutre nei confronti della madre è totale. Perché è stata a sua volta amata e poco importa, o forse conta moltissimo, che la sua nascita non sia stata desiderata ma sia ‘accaduta’ nel bel mezzo di un matrimonio che non funzionava. Si sono subito riconosciute, volute, si sono strette una all’altra. Confessa, Cristina, di avere imparato ad amare la vita in tarda età, a cinquant’anni. È stata come una rivelazione, scoprire di ‘saper nuotare’ dentro la vita ‘strappando con i denti grappoli di felicità in mezzo alle intemperie’. Di chi è il merito, l’origine, appunto? Sua madre. Una donna colta, raffinata, desiderata, corteggiata – non per estrazione sociale ma perché certe persone l’eleganza ce l’hanno cucita addosso ed è impossibile non subirne il fascino – che ha sempre camminato nella vita ‘con la proprietà di linguaggio di un docente di filosofia, la cognizione del mondo di uno psicanalista saggio e la sensualità innocente di una gazzella’. Una madre che l’ha gradualmente introdotta alla gioia così come al dolore – senza mai proteggerla oltre il limite – spingendola verso le tempeste perché nella vita tutto si può e si deve affrontare. Una madre che ha fatto della narrazione e della lettura uno strumento fondamentale di conoscenza, esperienza, spinta che innesca la curiosità, che ha appreso il coraggio solo per poterlo trasmettere come insegnamento. E poi c’è la grande lezione del rispetto degli altri, del senso di uguaglianza, del diritto al lavoro, all’equità. E la libertà di amare, anche sessualmente, senza sentirsi mai inadeguati. C’è una figlia che vive più matrimoni e non può fare a meno di tradire e c’è una madre che i tradimenti li subisce da sempre, da un marito dipendente dalle balere e dalle prostitute e che impiega anni per riuscire a fruire della propria prateria di libertà senza sentire più dolore. C’è anche il ribaltamento dei ruoli. Cristina si ritrova, ad un certo punto, a doversi prendere cura di sua madre, come fosse sua figlia. Ma non c’è la minima traccia di insofferenza, solo il dolore di vederla triste e spenta, divorata da un tumore. Se di preoccupazione vogliamo parlare trattasi di senso di inadeguatezza e timore di non essere all’altezza, di essere troppo poco per quella donna che sempre la sostenne, anche nei periodi più bui di depressione, quasi fossero legate dal vincolo del matrimonio: prometto di… nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita. L’invecchiamento della madre, la regressione, il farsi piccola, questo suo nascondersi dalla vita, sono per Cristina un dono, fragile ma di incomparabile ricchezza. Una chance per poter restituire parte di quanto ha ricevuto. E quello che ha ricevuto è così grande, così profondo, così denso, così bello da suscitare nel lettore uno spettro di emozioni ampio: malinconia, nostalgia, stupore, invidia, rimorso, rimpianto, gioia, partecipazione. E voglia di amare, incontenibile. Di dimostrare l’amore. Stringendo una mano, provando a guardare l’orizzonte insieme. E rispondere: se cadi, ti prendo io.
Le frasi che ho sottolineato:
La mia normalità crebbe sui semi dell’amore di lei, appesa ai lembi delle sue gonne come un marinaio alle vele della sua barca. Mi imbarcai sul veliero materno ben conscia delle tempeste del mare: lei non me le aveva mai evitate, ma le aveva rese naturali e normali e affrontabili ogni volta grazie alla zavorra sicura del suo amore.
La pantera nera che era rimasta in agguato sotto il letto di mia madre bambina aveva subito la sua metamorfosi: fra le labbra di lei era divenuta per me forza protettrice, così femminea da indossare un profumo, così selvaggia da avere conservato il nero del suo manto, così vicina a un peluche da avere zampe di velluto. Così mia madre aveva regalato alla sua bambina il suo animale guida, compiendo la metamorfosi di un simbolo di paura in un simbolo di protezione.
Mia madre lavorava e non aveva molto tempo per stare con me. Ma le ore passate insieme, i pomeriggi trascorsi a parlare, si sono dilatati nel mio cuore come le onde concentriche di un lago al lancio di un sasso.
Le onde concentriche non sono mai finite e, per me che con dolore sono priva di un dio, è questa la sola eternità, la salvezza, il paradiso. Nella notte, se un sogno sgradevole interrompe il mio sonno, posso aprire la porta bianca chiusa nelle mie viscere e far fluire lei.
Così tante volte ho pensato a quello che sarà il suo ultimo viso, a quel viso che dovrò vedere se sarò viva ancora, a quel viso che per me significa il senso puro della vita. Penso agli antichi, alle maschere funebri dei grandi del passato, e penso che per me l’icona del suo volto rimarrà intangibile in eterno, costruita con la materia stessa di cui è fatto l’amore. La fotografo molto negli ultimi anni. Fermo attimi e luoghi, dipinti di lei nella vita, nella speranza lieve che la vita per me conservi un senso quando lei l’avrà lasciata.
Certo è questo che vorrebbe lei. Lasciarmi in eredità il suo coraggio, oltre all’oceano di bellezza che mi ha rovesciato addosso tutta la vita. Conosco l’ineluttabilità del morire e se mi riguarda non provo paura alcuna. Ma se riguarda lei, se fosse lei a lasciare questo mondo, avrebbero ancora senso le architetture sublimi di Genova in marmo bianco e nero, avrebbero ancora senso i libri dentro i quali ho cullato tutti i miei giorni vivi, avrebbero ancora senso tutti gli altri affetti che rendono – oggi – il mio mondo un mondo felice?
E c’erano i rari ma costanti regali per la sua piccola principessa, quei regali mondani e superflui che più tardi mi resero libera. Libera di accettarli e goderne e libera di non averne mai bisogno. Gli uomini che hanno portato la gioia nei letti della mia vita non sono mai stati scelti sulla base del loro reddito. Ho amato armatori e portuali con la stessa passione e la stessa libertà. Nella terra libera che mia madre mi aveva dato in dote affondava le sue radici il rispetto assoluto dell’essere umano.
Una sera, nel corso di una cena, parlai con i miei genitori di questo mio desiderio e dell’intenzione di interrompere gli studi. Mio padre sembrò contento di quella che a suo modo di vedere passava per una maturazione e un’assunzione di responsabilità. Mia madre inorridì. Trascorse con me le ore dopo cena, spiegandomi con le sue parole, e con il suo tocco di magia, che all’essere umano è concessa una sola, vera e inalienabile libertà, che consiste nella libertà di pensare. Ma questa libertà, mi disse la mia incantatrice di serpenti, passa attraverso le trame della conoscenza, perché solo la cultura consente al singolo la facoltà di esercitare la sua libertà. L’ignoranza condanna a soggiacere. La cultura regala ali per volare oltre le recinzioni, oltre il filo spinato, oltre i muri eretti a barriera o confine. Mamma mi disse quella lunga sera che non sarebbe stato di alcuna importanza il mestiere che avessi intrapreso da grande, poiché qualunque mestiere ha la sua dignità, ma che fondamentale sarebbe stato affrontarlo con una mente pensante.
Per lusingare me fu usata una bellissima parola greca. Per raccontare la meraviglia che ha significato avere in sorte una tale madre non mi basta il vocabolario di cui dispongo. Vorrei scrivere queste righe e insieme suonarle sui tasti di un pianoforte, e insieme dipingerle con i colori sognanti di Chagall: se sapessi dipingere, il viso di mia madre sarebbe sui tetti di ardesia di Genova avvolta e accolta da usignoli e violinisti sui tetti. Sì, tra tutti i pittori che amo solo l’elegia di sogno di Chagall potrebbe raccontare il viso di mia madre.
La cortina d’acqua ci avvolgeva totalmente. La bolla magica quel giorno era fatta di pioggia: dentro, mia madre e io, avvinghiate strette sotto un grande ombrello e, al centro esatto di quel microcosmo, luccicava discreto un triste d’argento. Nel cuore di un infinito amore la sigla di un simbolo antico: la nostra magia laica. I quattro elementi di cui è fatto il mondo proteggevano due donne innamorate che il caso della vita aveva reso madre e figlia.
So che abbiamo costruito insieme un variopinto castello di carte con la fiducia muta che la sua fragilità intrinseca avrebbe retto meglio delle rigide fortezze alle continue scosse dei terremoti. So che insieme abbiamo continuato a tracciare un sentiero, e che quel sentiero è ancora molto lungo e curioso, ricco di boschi e radure e laghi sparsi, costellato di racconti e di folletti, e che il volumen degli anni a venire si srotola dalle nostre mani cariche di fiducia come un nastro di seta senza fine. Abbiamo steso sulla terra innanzi a noi un tappeto rosso, consce che le terrò la mano fino all’ultimo giorno, così come lei ha tenuto stretta la mia dal mio primo giorno. Avremmo, ancora e sempre, camminato insieme.