Pensare per molte volte durante la lettura che questo libro pare fatto per essere trasposto cinematograficamente sarà cosa normale, e troverà conferma nel sapere che la Foley è proprio sceneggiatrice per il teatro e per la televisione. Tante sono le spie che suggeriscono questo pensiero: l’attenzione all’approfondimento psicologico dei due protagonisti principali che danno il nome al romanzo, le descrizioni visive e immediatamente immaginabili di spazi, ambienti e anche di luoghi fantastici, la chiusura di ogni capitolo scritta come se fosse un cliffhanger televisivo, che ti lascia con la necessità di leggere subito ciò che viene dopo.
La narrazione è sapiente e furba e permette alla Foley di giocare fin da subito con il lettore proponendogli una storia semplice, ripetitiva e senza troppe sorprese all’inizio, poi sempre più interessante e con più carne al fuoco al centro, per poi trascinarlo in una interessante (e inaspettata) atmosfera sempre più concitata e allucinatoria nella parte finale.
Allucinatoria sì, perché stiamo parlando di un romanzo il cui vero protagonista è il sogno e la misura preponderante che ha da sempre nella vita di Rose, la protagonista.
Da che lei si ricordi la sua vita è stata sempre accompagnata da una vita fantastica che si svolgeva di notte e non appena si addormentava. Non sa perché accade, semplicemente accade e lì vive il suo alter ego, una lei sempre giovane, vitale ed energica. La più bella e più vera Rose che possa mai esistere. E con lei c’è anche un compagno dei sogni, Hugo, anche lui giovane, vitale e avventuroso, l’unico che conosca la più bella e vera Rose.
E tutti coloro che attraversano la vita di lei sanno di Hugo. E sanno delle loro avventure sulla loro isola fantastica abitata da mostri da sconfiggere e città lontane da raggiungere, la loro Oz. Perché addormentarsi e sognare tutto ciò per Rose è automatico e normale. Ogni notte.
E però la protagonista vive una vita al contrario. Va all’università, sposa il suo collega, ha tre figli e soccombe inevitabilmente a una vita da casalinga che certamente non desiderava, ma tutto questo diventa solo un contorno alla dose notturna del suo Hugo e dell’isola.
Le giornate di Rose sono solo un tirare avanti insoddisfatto, un contare le ore che la separano dall’appoggiare la testa sul cuscino e vivere davvero.
Finché un giorno parte del sogno diviene realtà, e Hugo è una persona in carne ed ossa e costringe Rose a fare seriamente i conti con tutte le domande e i dubbi che da sempre la investono e a trovare la vera sé. In quale delle due dimensioni sta al lettore scoprire.
Lungi dall’essere semplicemente un romanzo ben fatto e che già di per sé è affascinante, il libro invita a serie riflessioni sulla vita quotidiana, per quanto prosaica, di ognuno di noi. Non è più il tempo di donne supereroine, famiglie smielatamene felici e senza problemi. E’ il tempo di personaggi reali, con le loro frustrazioni, coi difetti che non si può fare a meno di mostrare (e che non si ha paura di mostrare), con le loro insoddisfazioni legittime e con la loro giustamente egoistica voglia di prendere la piccola fetta di felicità che da sempre ci è promessa. Non è difficile provare empatia per Rose, perché parla a nome di migliaia di donne che combattono per accettarsi e per tirare fuori il meglio da tutto.
Il suo cercare rifugio nel sogno rappresenta metaforicamente tutto ciò che ci allontana dal contatto con la realtà, che nel frattempo fugge via o muta di forma. La vita onirica di Rose rappresenta tutte quelle piacevoli distrazioni che oggi ci concediamo per evadere da una quotidianità di cui poi si perde il senso e l’appiglio, lasciandosi sfuggire ciò che davvero è bene: affrontare la realtà, essere leali con sé stessi e con chi confida in noi. Amare.