Per trovare un punto o un luogo su di una cartina occorre, ce lo insegnano fin dalle elementari, la longitudine e la latitudine. Se queste due coordinate servono per orientarsi fuori “nel gran mondo del reale” allo stesso modo per districarsi e comprendere in maniera rapida cosa sia questo Hugo e Rose di Bridget Foley bisogna utilizzare la seguente spiegazione: un libro che parte come un “Corto Maltese più giovane e al femminile” e finisce come una sorta di “thriller à la Gone Girl”. Ecco perché il volume uscito per Edizioni e/o non è una storia qualunque. Forse la grafica di Emanuele Ragnisco e la traduzione di Nello Giuliano (che, va detto ad onore di cronaca, si prende qualche libertà di troppo e non utilizza sempre un linguaggio azzeccato e consono) sviano un po’ la “forza”, anche la “violenza” se si vuole, di una storia che nel momento in cui si torce su se stessa prende delle pieghe talmente inaspettate da farci sobbalzare sulla sedia.
La vicenda narra di Rose, casalinga e mamma di tre figli, sposata con Josh, chirurgo di successo, la quale, dall’età di otto anni, data in cui a seguito di una caduta dalla bici ebbe una commozione cerebrale, quasi quotidianamente, sogna di un’isola misteriosa, con spiagge di sabbia rosa e vegetazione tropicale, abitata da un ragazzino, di nome Hugo, che da praticamente tutta la vita è il suo compagno di giochi “sognanti”. Hugo e Rose così abitano un mondo tutto loro, fatto di conchiglie che si mangiano come caramelle, di granchi fatti della consistenza dei soffioni e di città inviolabili che mai si riusciranno a raggiungere.
Quest’esistenza fratta e divisa, da un lato la vita reale con i suoi problemi e la sua routine di tutti i giorni, e dall’altra la fantasiosa vita dei sogni, nella quale il tempo non esiste e i corpi sono incorruttibili (mentre la Rose della vita vera, anno dopo anno, sfiorisce nel corpo e nella mente, la Rose del sogno rimane intatta e perfetta, bella come era quando era un’adolescente, se non di più), è logico che provochi dei contraccolpi. Infatti non soltanto Rose, che ha il compito di educare tre figli nel migliore dei modi, si trova a disagio a dover gestire questa carica emozionale che ogni notte vive, ma anche deve, diciamo così, fare i conti con la “presenza/non presenza” di Hugo. Rose si chiede: è una persona reale? Hugo esiste o è soltanto frutto della mia immaginazione? Quale rilevanza hanno i sogni delle casalinghe?
Ma ecco che, per caso perché questa è anche e soprattutto una storia sul caso (una falla in una diga, una giornata di pioggia, una velocità troppo elevata sono tutti fattori che rientrano a sommo titolo in essa), Rose scorge nel flaccido profilo di un inserviente di fast-food gli occhi “cioccolato” dell’Hugo dei suoi sogni. Da qui, ritrovando la splendida figura psichica nella piuttosto orrida figura fisica, la donna cade in una sorta di spirale maniaco-compulsiva. Trascura il proprio aspetto sempre di più (Bridget Foley, che insegna scrittura creativa alla New York University, non ci risparmia praticamente nulla di quest’ambito), trascura il marito e trascura i figli. Perché lei è tutta protesa “nel mondo dei sogni che tracima, sempre più, nel mondo reale”. Spia Hugo, lo pedina fino a casa, sente che in maniera inesorabile le loro due esistenze devono entrare in contatto.
L’idillica isola di Hugo diviene così la palestra per progettare i piani futuri e, via via che la storia prosegue, sempre di più i confini tra mondo reale e mondo del sogno cedono e si compenetrano. Probabilmente una buona parte del libro è quasi superflua e si può tranquillamente espungere dato che si capisce, una volta che dato reale e dato irreale si fondono, come la vicenda per forza di cose “non potrà prendere una bella piega”.
E qui scatta quello si era citato all’inizio, ovvero il thriller. Già thriller, dato che una vicenda così intricata non si può sciogliere se non con un atto di forza, financo di violenza. Il finale sarà sorprendente per certi aspetti e sarà la parte migliore, da un punto di vista stilistico e di qualità letteraria. Foley metterà in campo tutta la sua conoscenza dei meccanismi narrativi per tenere il lettore fermo con gli occhi puntati sulla storia, che è diventata “una brutta storia”, di Rose e Hugo. Ecco il merito di Hugo e Rose. Ovvero il fatto che parta come un libro che sfiora la mediocrità, del genere fantastico potremmo dire (ma, ad esempio, Il Ladro di Nebbia di Lavinia Petti che abbiamo già recensito qui è massimamente superiore, e per qualità e per intreccio), ma poi si evolve e deflagra in un finale palpitante. Come a dire che i sogni sono finiti ed è arrivato il momento di svegliarsi e di affrontare la dura realtà: anche a costo della propria vita. Reale o irreale.