Esiste nelle arti creative una cosa che si chiama genere: il poliziesco, l'horror, il fantastico. Il realismo magico è tra questi. Gabo Marquez ne fu maestro, fino a scatenare l'opposizione della successiva generazione di scrittori latino-americani. Ahmed Saadawi (classe 1973) ritorna a quel genere ma da tutt'altre sponde: la Baghdad dove vive e da dove ha vinto il Prize for Arabic Fiction (il Booker arabo) con un libro (Frankenstein a Baghdad, edizioni e/o) per lo meno molto curioso. La storia in brevE: durante l'occupazione americana, la città brucia per gli attentati kamikaze. Un losco figuro raccoglie i pezzi dei cadaveri dilaniati dalle bombe e li rimette insieme per dare vita a un Frankenstein. L'intento è quello di creare un Golem vendicatore, il robot antropomorfo di argilla della tradizione ebraica, creato dal rabbino di Praga per proteggere il suo popolo. Ma anche nel caso del mostro di Baghdad, come già fu per il Golem, il creatore perderà il controllo della creatura. All'inizio questa cosa vendica le vittime, ma alla fine si vota a un massacro senza scopo. Il nostro mondo di pace, a differenza della Baghdad di Saadawi, vive un momento di egemonia del pensiero «politicamente scorretto». Gli stregoni di questo laboratorio reagiscono al vecchio buonismo cannibalizzando lo spazio pubblico con le più esplosive parole del vocabolario dannunziano. Alla fine la realtà ne risulta distorta. Al contrario, in una realtà estrema, distorta all'origine dalla guerra, uno scrittore sceglie di rifugiarsi nei rigidi canoni della letteratura di genere (nel caso di Saadawi, abbiamo detto, il realismo magico) per avere maggiore senso della misura. In apparenza l'autore scrive un romanzo d'appendice. In realtà in chiave allegorica, ci offre pensieri più profondi sui conflitti. Chi vive tra le bombe pesa le parole. Ma dimostra a cosa può portare la tecnica letteraria della «deformazione del quotidiano» in una zona di guerra.