«Cara Jana, questo regalo di Natale è forse un po’ egoista. Ma penso che tu sia (quasi) cresciuta e da tempo avresti dovuto prendere confidenza con la mia scrittura». È il 1988 e una ragazzina di sedici anni riceve in dono undici volumi, tra romanzi e racconti. Insieme al disorientamento provato all’epoca per la mole delle letture che la attendevano, in quel suggerimento severo e affettuoso vi era il privilegio di avere una nonna d’eccezione: Christa Wolf.
Jana Simon oggi è una giornalista brillante, collabora dal 2004 con il settimanale Die Zeit, è autrice di numerose inchieste, reportage e interviste, scrive libri ma, soprattutto, in questi anni non ha mai smesso di stare in relazione con Christa e Gerhard Wolf.
Un legame certamente facilitato da ragioni familiari ma anche dal costante scambio tra loro. «Lei e mio nonno hanno sempre seguito la mia formazione, abbiamo discusso molto di politica, letteratura, scrittura. Mi manca ancora oggi soprattutto il dialogo con lei».
Quest’anno c’è anche Jana Simon al Festivaletteratura di Mantova, partecipa al focus dedicato a Christa Wolf. Pensato da Annarosa Buttarelli con la presenza fondamentale di Anita Raja, traduttrice italiana e amica di Wolf, Anna Chiarloni, tra le massime autorità italiane in germanistica, e le letture dell’attrice Anna Bonaiuto. L’occasione è fornita da due recenti traduzioni inedite della scrittrice tedesca, Parla, così ti vediamo (recensito su questo giornale il 25/03/2015) ed Epitaffio per i vivi. La fuga (recensito il 30/04/2015), entrambe edite da e/o.
Quando Jana Simon si rende conto di non avere strumenti adeguati per codificare lo stravolgimento politico e culturale che, alla fine degli anni Ottanta, investe la Germania, comincia dunque a riflettere sull’importanza di domandare a chi, per scelte letterarie ma soprattutto politiche, quel tumulto prima e quel passaggio storico poi, ha avuto il coraggio di metterlo in parola. Così, ultimati gli studi tra Londra e Berlino, dal 1998 – mentre già lavorava presso la redazione del quotidiano Tagesspiegel – comincia a incontrare sistematicamente Christa e Gerhard Wolf. Iniziano dieci anni densissimi, colmi di colloqui su temi tra i più diversi, dall’amicizia all’amore, dal nazionalsocialismo alla vita nella Ddr e nella Germania dopo la caduta del Muro.
È in questo modo che prende forma il volume Sei dennoch unverzagt (Ullstein, 2013), in cui Jana Simon ha raccolto e ordinato cinque lunghe conversazioni intrattenute con i nonni dal 1998 al 2012. Le prime quattro fino al maggio del 2008 e l’ultima nel 2012 — quindi solo con Gerhard Wolf, un anno dopo la morte della sua adorata moglie.
Il titolo scelto è un verso del poeta tedesco Paul Fleming che non a caso esorta a rimanere impavidi. «Sono stati molti i momenti in cui hanno dimostrato audacia e coraggio», sottolinea Jana Simon che risponde a qualche nostra domanda. «Per esempio penso all’undicesimo Plenum del comitato centrale della Sed nel dicembre 1965. In quell’occasione, che viene ricordata come il Plenum-del-Disboscamento, mia nonna è stata l’unica a intervenire con forza contro la linea ostile verso l’arte proposta dall’apparato burocratico del partito. Per lei era irricevibile la messa al bando di film e del lavoro di molto scrittori e intellettuali».
Nel frattempo i libri della nonna li aveva letti tutti, certo, ma senza conoscerne profondamente i conflitti, le lotte, ciò che aveva contraddistinto l’esistenza di chi l’aveva preceduta. In quel momento Jana Simon, ventiseienne, ha pensato che se un giorno avesse avuto un figlio avrebbe desiderato parlargli della propria provenienza.
I temi trattati nel volume Sei dennoch unverzagt sono molti, alcuni più controversi di altri. Cominciano dall’infanzia sotto la guerra, la vita di un tempo scuro e inizialmente indecifrabile, «sicuramente tutto ciò non è stato vano. Come non può essere vano affinare contemporaneamente lo sguardo su ciò che chiamiamo presente».
È tuttavia il ruolo della politica che innerva tutte le conversazioni. La vita nella Ddr, l’ingresso nel partito comunista, l’entusiasmo di sentirsi parte di un progetto anti-fascista e di giustizia sociale.
Politica, amore e sodalizi irripetibili, così come l’incontro tra Christa e Gerhard Wolf, poco più che ventenni, la prima gravidanza e la nascita nel 1952 della prima figlia Annette, madre di Jana. Sembra quasi di sentirla ancora quella irrequietudine anche se a riferirne sono due settantenni che a Woserin in un pomeriggio assolato riannodano i fili di un’unione speciale per raccontarli alla propria nipote.
È la seconda conversazione, seguita da una lunga pausa. Solo nel 2008 si sono svolti e intensificati gli ulteriori colloqui, tutti documenti storico-politici che percorrono l’arco di più di quarant’anni di storia tedesca ed europea.
La generazione di cui fa parte Simon è stata definita da Christa e Gerhard «non politica». È lei stessa ad ammetterlo. «Credo che per un lungo periodo di tempo questo sia stato vero nel senso della mancanza di attivismo come lo hanno sempre interpretato loro, in questa totale aderenza tra vita, affetti, scelte culturali e politiche. Anche su questo aspetto però mi hanno insegnato molto: lo scenario attuale è talmente complesso e ingarbugliato che non si può non avere uno sguardo politico, bisogna cercare di capire. E agire. Ora ho una bambina di sette anni, Nora. Questo libro l’ho immaginato anche per lei».
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