Jean-Claude Izzo. Storia di un marsigliese di Stefania Nardini
Autore: Ilaria Guidantoni
Testata: Salti in aria
Data: 15 settembre 2015
Libro gustoso, frizzante che si divora come una notte senza sosta a Marsiglia con la voglia di perdersi, è insieme guida non per turisti di una città che diventa metafora contraddittoria del Mediterraneo; biografia sui generis dell’anima anarchica dimenticata di un fenomeno letterario e, ancora, un viaggio dell’anima che è la capacità di stupirsi e di trovare una patria del cuore attraverso i libri.
Stefania Nardini si è incuriosita di Marsiglia grazie ai libri di Jean-Claude Izzo e la curiosità è stata la porta di un innamoramento trasformato in amore: la città più meticcia d’Europa è diventata la sua patria del cuore. Un processo che conosco bene per il mio percorso personale tanto che, in omaggio all’autrice grazie alla quale ho conosciuto Izzo e quindi Marsiglia, ho regalato come scelta alla protagonista una copia del mio ultimo libro. E’ stato Il sole dei morenti la mia iniziazione a Jean-Claude sebbene ne concluda la parabola, della quale parla la Nardini nel libro dedicato all’autore francese. Avvicinandosi consapevolmente alla morte Jean-Claude – se n’è andato per un cancro ai polmoni a soli 55 anni – ha ambientato il suo ultimo libro nella stazione di Saint Charles a Marsiglia, tra gli ultimi, coloro che non hanno nulla da perdere e ai quali Izzo ha sempre rivolto la propria attenzione e vocazione politica rimanendo sostanzialmente un anarchico, un utopista, pur avendo fatto parte per un periodo del Partito comunista francese.
Il libro di Stefania Nardini si legge d’un fiato, consapevoli che il piacere può essere ripetuto, sfogliandolo di tanto in tanto, consultandolo e rileggendo dei capitoli, utilizzandolo come una guida insolita di Marsiglia. La sua è una scrittura poetica, senza fronzoli, che non si abbandona al piacere di dondolarsi perdendosi nel lirismo. Fende la pagina, tagliente, nel segno del sublime, regalando nello stile il contenuto e mettendosi sulla stessa lunghezza d’onda del personaggio che racconta e che ci confessa di non aver conosciuto di persona anche se ne ha frequentato molto da vicino l’ambiente e gli stessi suoi intimi. Il libro è un viaggio nel tempo che ci porta a zonzo per Marsiglia come in un film grazie anche alle delicate illustrazioni di Ivana Stoyanova. La storia di Jean-Cluade Izzo è anche la storia di una città, non per turisti perché non c’è nulla da vedere né da fotografare, seppure non manchi né storia né bellezza. Il suo fascino è soprattutto nella luce struggente – la stessa di Algeri, sua figlia dolente – che si può solo vivere. In qualche modo verrebbe da dire marsigliesi si diventa perché Marsiglia è di chi ci vive, da sempre porto e rifugio nonché testimonianza del Mediterraneo, crocevia di incontri e contraddizioni, come ricorda lo stesso storico degli Annales Fernand Braudel che l’autrice cita. Izzo ne è figlio come Marsiglia, rital, un figlio di immigrati, cresciuto nel dolore dell’esilio che ha coltivato la memoria più che la nostalgia: è in qualche modo un bastardo che in questa dimensione di appartenenza plurale, di ricerca tormentata di identità sembra trovare la propria originalità e creatività e che ci racconta una dimensione di grande attualità e lacerazione che tutto il “mare bianco di mezzo”, per dirla con un’espressione araba, sta vivendo.
Decisamente interessante l’appartenenza e l’identità di Marsiglia legata al porto e al mare che però proprio in queste sue radici vede il male: dal Mediterraneo infatti sono venuti i guai, la corruzione e la peste, l’immigrazione e i conflitti. Un destino che è tremendamente analogo a quello di Algeri. In fondo sembra anche una dimensione comune a tutte le capitali del mare nostrum. Stefania ci racconta con nonchalance come chi guarda dall’interno una città le attrazioni e i rischi degli abbellimenti pronti ad essere catturati dalla macchina turistica e della speculazione immobiliare, con il rischio di snaturare la città. Allo stesso tempo ci descrive i sapori e i profumi così presenti nell’opera di Izzo: l’odore del basilico che tutti i bambini del Mediterraneo conoscono e il sapore dell’aglio che diventa il gusto spericolato del vivere stesso, identità di Marsiglia e metafora dell’amore per Izzo. Intrigante il percorso nel quale l’autrice raccontando Jean-Claude narra Marsiglia che è in parte la Marsiglia di Stefania, di oggi, e insieme quella dello scrittore francese, emarginato e dimenticato perché scomodo, che aveva intravisto e previsto con lo sguardo acuto del cronista un po’ investigatore, figlio di povera gente che conserva in sé un po’ dell’anima napoletana. Marsiglia infatti è italiana ma soprattutto partenopea come, ritengo, Tunisi sia italiana ma soprattutto trapanese, al più siciliana. Stefania non si limita a raccontarci il suo autore, ci fa rivivere la sua storia accanto a lui, parlandocene e quasi scusandolo a volte come fosse un’amica; ne porta il carico del senso di colpa, si lascia affascinare dalla sua vocazione alla libertà e all’amore come diritto al sogno e dovere di non arrendersi alla vita; e ancora ne sposa la scrittura poetica, seguendolo nell’evoluzione dalla poesia alla letteratura noir con l’anima del cronista e dell’impegno civile. Un libro che diventa un inno al potere della parola, alla poesia come vocazione esistenziale, alla militanza fuori dagli schemi e dal successo e alla leggerezza fuori da ogni superficialità. Che è piuttosto il canto di chi è immigrato e di una città la cui povertà è ancestrale per cui si può permettere di abbandonarsi alla bellezza della luce, al piacere popolare della sosta al caffè e al sogno che regala la musica che è prima di tutto condivisione e che filtra tutta l’opera di Jean-Claude Izzo.
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