Lia Levi: Libri contro i mostri
Autore: Rachel Silvera
Testata: Pagine ebraiche
Data: 10 luglio 2015
“La sua vita a volte/ Ingiusta e/ Appartata/ Lungamente messa alla prova/ Esemplare/ Vincitrice/ In ogni sua battaglia”. Questa la poesia contenuta dentro il quadretto che fa capolino una volta entrati nel salotto della scrittrice Lia Levi e le cui iniziali compongono il nome dell'autrice.
Glielo hanno confezionato gli alunni di una scuola media e fa parte delle centinaia di doni che Lia Levi riceve da quando nel 1994 uscì Una bambina e basta, il libro nel quale raccontava il periodo della persecuzione trascorso nascosta in un convento, cercando di non farsi strappare quel che restava della sua infanzia.
Un piccolo libro, accorato che dopo vent'anni continua ad essere letto dalle insegnanti italiane, ausilio fondamentale per introdurre il delicato tema delle leggi razziste. E da più di vent'anni Lia Levi non si sottrae dall'essere una custode della Memoria, dal viaggiare instancabilmente di scuola in scuola per condividere la propria esperienza e scrivere per dare voce alle vite di chi da quel turbinio drammatico non è tornato o non ha parlato: da Teresa, che ne La Sposa Gentile decide per amore di Amos di avvicinarsi alla religione ebraica a Elisa de L'amore mio non può che dopo il suicidio del marito dedica tutta se stessa a sua figlia.
Donne forti, che non si perdono d'animo e si battono furiosamente eppure dignitosamente per la libertà. Donne che amano con coraggio. Ma non solo, perché appena se ne scorge la struttura, Levi decide di scombinare le carte in tavola e offrire un nuovo punto di vista: gli ultimi occhi che denunciano le atrocità della segregazione e della persecuzione cambiano completamente nell'ultimo nato, Il braccialetto, pubblicato lo scorso inverno da e/o. A muoversi nello sfondo della calda estate romana del 1943 questa volta sono infatti Corrado e Leandro, due adolescenti alle prese con crisi di identità, ribellioni, insofferenze e delusioni. Una guerra interiore che freme impaziente ma che deve fare i conti con la guerra reale, quella che odora di polvere da sparo mescolata a povertà, fame e paura. Corrado, giovanotto ebreo che sogna di frequentare il prestigioso liceo classico Visconti, incontra Leandro, ricco studente frustrato che abita con l'algida nonna russa Ol'ga Petrovna nella magnificente casa in via del Governo Vecchio che gli va stretta come una ennesima gabbia dorata e sogna gli ebrei, i
figli del ghetto, letti nelle pagine dei libri di Israel Zangwill.
“Tu mi devi aiutare a cercare le parole che ti voglio dire. Ho bisogno di parlare con un ebreo”, confida Leandro seguito a ruota dai suoi capelli ricci e indomabili. Infine c'è lui, il braccialetto dorato che Elena, la madre di Corrado, indossa per essere pronta alla battaglia quando il figlio viene espulso dalla scuola e che progressivamente smette di tintinnare per poi sparire e riapparire nella maniera più
sorprendente, ma anche terribilmente deludente.
Cosa rappresenta dunque il braccialetto, muto protagonista dell'ultimo libro di Lia Levi?
Il bracciale di Elena è il simbolo di vitalità grazie al suo continuo tintinnio. Quando fa la sua sparizione, si perde anche la voglia di reagire alla vita di Elena, ma anche la fiducia che Corrado ripone nella madre. E sarà poi il punto di svolta negativo che lo porterà a rappre-
sentare la menzogna, lo spunto per la totale delusione.
I protagonisti, Leandro e Corrado, sono al centro della trama e le loro personalità vengono profondamente indagate. Cosa si cela dietro di loro? Ad attrarli l'uno verso l'altro e stringere questo sodalizio sono di sicuro le loro differenze. Leandro, un ricco possidente di nobili origini e Corrado, umiliato dalle leggi razziste e additato perché ebreo. Così lontani eppure vicini. Io ov-
viamente mi sono divertita a mettere in crisi le diversità codificate dalla propaganda antisemita: Corrado è descritto con i suoi ordinati capelli biondi, mentre Leandro è riconoscibile dalla sua capigliatura mora e scomposta, irrequieto dalla testa ai piedi. Tra i due c'è un rapporto di ammirazione, soprattutto di Leandro verso Corrado, ma anche un problema di identità irrisolto che li porta a non riconoscersi allo specchio se non quando si mascherano.
Corrado viene descritto perennemente in movimento, come un adolescente modello sembra che non si dia mai pace. Come è nato il suo personaggio?
Mi sono ispirata a La disubbedienza di Moravia. Anche lì il protagonista era un giovane in perenne conflitto con la propria famiglia e a fare da sfondo c'era la Seconda guerra mondiale. Il mio Corrado è un adolescente inquieto che non accetta di comportarsi sommessamente o di volare basso. Vuole poter frequentare il liceo e non sopporta la reazione alla persecuzione che hanno i suoi genitori, il padre prima e la madre poi, che si sostengono l'uno con l’altro. Perdono di vitalità, accettano di essere dei vinti.
Dall'altra parte troviamo Leandro, sorprendentemente affascinato dall'ebraismo proprio nel momento in
cui le leggi razziste deridono e umiliano la religione mosaica... Leandro rimane colpito dalla lettura de I figli del ghetto di Israel Zangwill, trovato nella preziosa libreria di Olga. Leggendolo capisce che in fondo siamo tutti figli del ghetto. Si sente isolato, incompreso. Frequenta il liceo e quando finalmente viene apprezzato dagli altri finisce per non apprezzare più se stesso. Nel conoscere l'identità ebraica trova un rifugio dove riappropriarsi della propria autenticità. Mentre Corrado è più realistico e freme per farsi riaccogliere dalla società, Leandro vive in una dimensione più esistenziale.
Ad avere un ruolo chiave è anche il personaggio della nonna di Leandro, la nobile russa Ol'ga Petrovna, regina incontrastata della preziosa casa in via del Governo Vecchio...
Io da grande amante del cinema vedo la scena prima di scriverla, e proprio così è accaduto quando ho narrato il momento topico del libro nel quale la Petrovna scende dalla sua macchina nel vecchio ghetto di Roma mentre tutti sono in fila per lasciare l'oro nella speranza di non essere deportati. “La macchina si era fermata e un autista in divisa aveva aperto la portiera. Corrado era rimasto impietrito. Era lei, Ol'ga Petrovna, con
una cappa blu notte fuori moda e fuori stagione portata come il manto di una regina, a scendere con fiera lentezza dall'interno della vettura”. Petrovna è una donna misteriosa così come lo è la sua casa riccamente arredata, simbolo di un vecchio mondo che mai più tornerà. Ma sono tanti e diversi i personaggi secondari che popolano la trama e che, a differenza di libri precedenti, vengono descritti in maniera più disincantata e si fanno portatori di elementi negativi. Penso ad esempio allo zio Massimo, raccontato all'inizio come un uomo potente e poi inquadrato in tutti i suoi limiti, nel suo essere "umano, troppo umano".
Quando si affronta il tema della Memoria, la domanda che ci affligge e abbiamo paura di pronunciare al alta voce è la seguente: potrebbe davvero riaccadere?
Quello che più mi spaventa è che si sia persa la fiducia nella modernizzazione, nella civilizzazione, nel miglioramento progressivo del mondo. Nel nostro paese è come se si fosse rotto un sottile strato di ghiaccio che copriva l'oscuro. È come se fossero riaffiorati i mostri. Solo attraverso la cultura e l'educazione qualcosa potrà davvero cambiare.
Prima di essere una scrittrice, Lia Levi è stata giornalista. È il 1967 quando, grazie a lei, la Comunità si dota di un proprio organo di informazione...
Era appena terminata la Guerra dei Sei giorni arabo-israeliana e l’informazione non aveva dato gran prova di obiettività nel raccontarla. Così, con un gruppo di amici, ci chiedemmo: “Perché non iniziare a farne uno nostro di giornale?”. Era in quegli anni un giornale molto autorevole, in grado di parlare anche fuori dagli ambienti comunitari e di offrire alla società italiana una panoramica sulle diverse pulsioni dell’ebraismo romano e sul sul suo legame indissolubile con Israele.
Oltre al giornalismo e ai romanzi, lei è conosciuta per essere una scrittrice amata dai bambini, con decine e decine di titoli dedicati alla letteratura per l'infanzia. Come nasce questa seconda attività?
Mentre scrivevo ho scoperto questa tendenza e passione: mi sono resa conto di quanto fosse divertente raccontare storie indirizzate ai bambini. Da allora per me l'anno si divide in due: in autunno e inverno scrivo libri per adulti, che mi richiedono sempre un poco più di fatica e concentrazione, e l'estate ritorno alla letteratura per l'infanzia buttandomi di nuovo in mille avventure. E la cosa più bella è incontrare gli studenti che sono sempre interessati e hanno tante domande da chiedere senza alcun timore o vergogna. Nascono sempre intense discussioni.
Ma che lettrice era da bambina?
Oh divoravo, di tutto. Da bambina leggere è fantastico perché lo si fa per pura evasione e si ha una voglia matta di storie nuove. Amavo Piccole donne, certo. Ma avevo un debole per Tom Sawyer. Del resto le trame avventurose sono sempre state la mia passione!