Il vento di San Francisco - Howard Fast
Autore: Antonella Stoppini
Testata: Sololibri
Data: 10 luglio 2015
“Il vento di San Francisco di Howard Fast (e/o, 2015, titolo originale: The immigrants), è il primo romanzo della saga in sei volumi della famiglia Lavette, edito da e/o e tradotto da Augusta Mattioli.
“Daniel Lavette venne al mondo in un vagone merci che attraversava gli Stati Uniti d’America”.
1889. I genitori di Daniel, Joseph e Anna, erano una coppia di emigranti italo-francesi provenienti da New York che intendevano giungere a San Francisco insieme a “quel flusso immenso di umanità che aveva attraversato l’Atlantico per entrare in un altro mondo”. Dopo circa otto anni, Joseph, gran lavoratore, era riuscito a compiere ciò che si era prefissato: diventare proprietario di un battello da pesca. Il giorno dell’acquisto sarebbe rimasto per tutta la vita nel ricordo di Dan. Suo padre gli aveva spiegato che un battello era una cosa viva e il ragazzino viveva per quei giorni in cui poteva aiutare il suo genitore nella conduzione della barca. Nelle giornate di sole e in quelle di pioggia la baia osservava quel bambino che amava il mare, crescere snello e risoluto. Danny (“i capelli neri e ricciuti, gli occhi scuri”) a diciassette anni aveva chiaro in mente che cosa voleva fare nella vita: il pescatore. Il 18 aprile 1906 Dan all’alba aveva raggiunto la barca per iniziare i consueti lavori quotidiani. Un rumore assordante che “ringhia e ruggisce” aveva preceduto una terribile scossa di terremoto della durata di quarantotto secondi. Le case più vecchie erano crollate mentre le costruzioni rinforzate d’acciaio avevano retto sotto le scosse del violento sisma. Il terremoto aveva causato un terribile incendio che era continuato per tre giorni. I genitori di Danny furono tra i tremila deceduti. La città, nella quale quasi ogni giorno l’aria veniva rinfrescata dai venti del Pacifico, era rinata dalle ceneri dell’antica quasi del tutto rasa al suolo rapidamente, con tanta speranza e vitalità. Lo stesso Dan caparbiamente aveva cercato di superare il dolore della perdita dei suoi cari lavorando senza sosta fino a diventare proprietario di tre battelli da pesca. La sua scalata al successo appariva inarrestabile “aveva messo insieme una piccola flotta di pescherecci”. Il giovane uomo amava ripetersi che aveva sempre saputo ciò che voleva, a tutto questo ora si doveva aggiungere Jean Seldon, affascinante bionda dagli occhi di un azzurro intenso.
“A guardarla gli pareva di guardare la vita intera”.
A questo punto era giunto per Daniel il momento di scalare la collina per andare ad abitare a Nob Hill come il suo futuro suocero, un affermato banchiere.
Nell’avvincente narrazione di Howard Fast (1914-2003), occupa un ruolo dominante il sogno americano, malia che colpisce tre famiglie di immigrati: italiani, irlandesi e cinesi, le cui vicende s’intrecciano aventi come sfondo l’incantevole e cosmopolita San Francisco. “Città di alte colline e di panorami aperti”, composta dal porto, dal quartiere abbiente di Nob Hill, da quello malfamato chiamato Costa dei Barbari e dal quartiere cinese di Chinatown. Il prolifico sceneggiatore e scrittore americano Fast, vittima della commissione Mc Carthy per la sua adesione al Partito Comunista, tratteggia abilmente la figura di Danny Lavette, uomo di indole intraprendente e spregiudicata, la cui ambizione lo porta a diventare molto ricco. La sua ansia continua di possedere sempre di più sembra derivare dal vuoto affettivo generato dalla morte dei suoi genitori. Il risoluto Lavette era convinto che la felicità sarebbe giunta con la ricchezza, soltanto l’amore disinteressato della dolce e devota May Ling avrebbe fatto comprendere all’uomo ciò che contava veramente nella vita. L’autore nella sua vasta produzione ha sempre avuto a cuore i temi della giustizia e della libertà, figlio di immigranti ebrei, aveva conosciuto fin da piccolo la miseria e il duro lavoro. Fast nato a New York e giovane di Upper Manhattan si era sempre sentito vicino a chi lotta per emergere.
“L’unica cosa che mi fa infuriare è che ho più storie dentro di me di quante ragionevolmente ne potrei scrivere in una vita”.
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