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«Mila, un po’ Sandokan e un po’ mamma»

Autore: Nicolò Menniti-Ippolito
Testata: Il Mattino di Padova
Data: 24 aprile 2015

Arriva il terzo capitolo della saga firmata da Matteo Strukul, un viaggio mozzafiato e pulp da Padova alla Siberia

PADOVA. Dopo l’incursione nel giallo storico, con la Padova noir di “La giostra dei fiori spezzati”, Matteo Strukul torna al suo personaggio di sempre, Mila, con un romanzo rosso sangue, che dopo aver attraversato l’Europa, finisce in un tripudio di pallottole e lame d’acciaio nel cuore della Siberia.

In questo nuovo capitolo della serie c’è molta violenza. Non troppa?

«La violenza che c’è in questa serie e ancor più in questo libro, non è una violenza realistica, è talmente eccessiva che credo il lettore la prenda subito nel modo giusto. È come la violenza dei fumetti, come quella di film pulp, volutamente esagerata, stilizzata come nei film di Peckinpah. È una coreografia. Mila ha qualcosa dei personaggi come Capitan America, è una eroina di quel tipo, anche se si muove in un mondo contemporaneo a contatto con problemi e luoghi reali. Per questo contrasto mi piace anche sottolineare gli aspetti locali, veneti, padovani, per esempio il fatto che beva birra Antoniana».

Il ritmo di questo romanzo è, se possibile, ancora più serrato di quello dei romanzi precedenti.

«Credo di sì, il personaggio di Mila è costruito sul ritmo, ad ogni capitolo le deve necessariamente succedere qualcosa, il lettore deve essere trascinato a finire il libro in due serate, divertendosi, anche se non trova risposte ai grandi interrogativi della vita. Io mi ritengo uno scrittore popolare. Mi piacerebbe fosse letto come un libro di avventura, un romanzo di Salgari. Non mi dispiacerebbe se qualcuno definisse Mila un Sandokan al femminile».

Il personaggio principale è molto riconoscibile per i lettori, eppure il tono del libro è leggermente diverso.

«In questo terzo romanzo il personaggio acquisisce qualche sfumatura in più. Mostra per esempio un lato quasi materno, un aspetto affettivo che nei primi due libri non c’era. Anche il titolo, “Cucciolo d’uomo”, che potrebbe sembrare retorico, è un omaggio a Kipling, ma vuole sottolineare questa diversa propensione del personaggio. Volevo scrivere una specie di road movie, qualcosa come Thelma e Louise, ma anche per certi versi Kill Bill, solo che accanto a Mila c’è un bambino, che sempre con riferimento a Kipling si chiama Akim. Il secondo romanzo della serie era probabilmente più cupo di questo, quasi senza speranza, qui ho preferito un tono più simile al primo, un po’ più luminoso».

È anche un romanzo molto visivo.

«Spero che il lettore veda letteralmente le scene, anche quelle di violenza. Mi piace creare questo effetto visivo con la parola, perché questo lascia grande libertà a chi legge. Ognuno ha in mente una Mila, mentre legge, ma non tutte le Mila sono uguali, come constato quando incontro i lettori».

C’è un piacere particolare nella scrittura di genere e nel ritornare a personaggi seriali?

«Sì, c’è. Per quel che riguarda il genere, c’è il piacere di avere a che fare con personaggi stereotipati, ma su cui è bello operare variazioni. Qui per esempio il cattivo sembra assolutamente tipico, ma ha poi un lato inaspettato, una stanchezza per la violenza, che lo rende più sfaccettato, quasi umano, anche capace di citare un racconto di Tolstoi. Quanto alla serialità bisogna intendersi. Come dice anche Massimo Carlotto, il personaggio non può essere sempre uguale, il bello è raccontare piccoli cambiamenti, che spesso tra l’altro vengono attraverso il contatto con i lettori. Per questo mi piace, quando esce un libro, andare in giro a presentarlo. Si hanno dai lettori delle risposte a quel che si scrive, che spesso suggeriscono una evoluzione delle storie. Adesso, anche grazie a questo, ho già in mente il quarto libro della serie, poi vedremo».

http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2015/04/24/news/mila-un-po-sandokan-e-un-po-mamma-1.11296579