Amo i 40enni sfigati specialisti nel piano B"
Autore: Raffaella Silipo
Testata: La Stampa Tuttolibri
Data: 21 marzo 2015
E' il cantore dell’italiano medio «ma molto molto medio», dei quarantenni sfigati «specialisti nel piano B», dei guerrieri da riunione di condominio. Fabio Bartolomei, nato a Roma nel 1967, pubblicitario, è l’autore di Giulia 1300 e altri miracoli (Edizioni e/o 2011, seguito da La banda degli invisibili nel 2012 e We are family nel 2013, entrambi Edizioni e/o) adesso diventato un film di Edoardo Leo con Luca Argentero e Claudio Amendola, Noi e la Giulia, buon successo al botteghino. I protagonisti sono quattro falliti appunto, Diego, Fausto, Claudio e Sergio, che decidono di investire i loro sogni in un agriturismo in Campania e si trovano loro malgrado a scontrarsi con la camorra. «Certo è facile sguazzare nei difetti dell’italiano medio sorride lui ci sono infiniti spunti comici, ma la vera soddisfazione per me è stata cavar fuori la parte bella, romantica, coraggiosa di questi quattro».
I protagonisti sono tutti dei venditori, Diego in una concessionaria di auto, Fausto di orologi in tv, Claudio nella gastronomia di famiglia. Un caso?
«No non è un caso: l’italiano medio è un venditore, un raccontatore di balle. Il problema di questi quattro però non è tanto questo, ma il fatto che non amano quello che fanno, sono persone irrisolte, basta vedere i loro rapporti con le donne. Già, perchè penso davvero che voi donne siate migliori di noi, più mature... Sono partito con l’idea di raccontare il riscatto di un fallito poi i falliti sono diventati tre e trovano la loro forza nel gruppo multietnico, multiculturale, multisfigato: spengono la tv, si mettono in gioco, rischiano e da quel momento nulla sarà più come prima. Sono obbligati a un cambiamento».
Lo scontro con la camorra è quasi uno scontro tra due Italie, una moderna «dopata di pubblicità» e l’altra arcaica.
«Sì, ci voleva una circostanza eccezionale come la camorra perchè questi quattro si riscuotessero dal loro torpore: ormai viviamo in un’anormalità mostruosa, un’epoca cafona e viziata dove si subiscono soprusi a diversi livelli e siamo come narcotizzati: ci vuole una scossa per reagire. Poi naturalmente non ho la presunzione di affrontare un problema enorme come quello della camorra».
I personaggi sono ispirati alla realtà?
«Ho rubato qua e là, dalla strada, dal mercato, dal condominio, dalla famiglia e naturalmente da me stesso. Non mi identifico in un personaggio specifico, anche se c’è molto di me in Diego. Ho messo un po’ delle mie ansie in ognuno di loro. I caratteri individuali sono plasmati per dare vita a reazioni divertenti e imprevedibili nel gioco delle parti».
Che ne dice del film di Leo?
«Gli sono immensamente grato perchè ha regalato una seconda vita al libro. Logico, ci sono molte differenze, non è facile sintetizzare una storia così ricca, ma mi sono sentito a mio agio con il regista perchè ho visto che ha messo passione nella storia. Chi leggeva il libro diceva “sarebbe un film perfetto”, ora vedo che la gente esce soddisfatta dal cinema ed è una bella sensazione».
Lei ha fatto per vent’anni il pubblicitario, come è diventato scrittore?
«Il mio sfogo è sempre stato scrivere, fin da quando ero ragazzo. A un certo punto sentivo il bisogno di una scrittura libera, non su commissione e finalizzata alla vendita di un prodotto, ed è nata Giulia 1300».
Cosa le è servito della lezione della pubblicità per la scrittura?
«Moltissimo: è stato un grande esercizio. Intanto non ho la sindrome della pagina bianca, sono rapido a risolvere i problemi narrativi. E poi so focalizzare, lavorare in profondità, i mestieri creativi in questo sono un grande aiuto. Inoltre ho sempre letto tantissimo».
Cosa legge in genere?
«Non amo i gialli, i rosa, i noir, i fantasy e i thriller. Per il resto leggo di tutto cercando di dosare classici e contemporanei. Per le letture del passato diciamo che sono molto riconoscente a Márquez, Steinbeck e Fante. Con il primo ho scoperto la magia della scrittura, con il secondo la potenza, con il terzo, più semplicemente, ho scoperto che leggere non mi bastava più, volevo scrivere».
Per quanto riguarda il presente?
«Preferisco parlare italiano: L’amica geniale di Elena Ferrante (bellissimo il romanzo, spassosissime le critiche degli ultimi tempi), La paura e altri racconti della Grande guerra di Federico De Roberto, Morte di un uomo felice di Giorgio Fontana, Il giorno che diventammo umani di Paolo Zardi»
Lo scrittore umoristico che preferisce?
«Le mie esigenze come lettore sono diverse da quelle che ho come scrittore. Non amo la letteratura umoristica, considero molto umoristico Márquez. L’ultima risata a crepapelle me l’ha strappata Cormac McCarthy (Figlio di Dio, pag. 25. ancora me la ricordo). Poi certo ho letto e apprezzato Benni e Wodehouse però appartengono a un ciclo molto breve della mia carriera di lettore .... »
L’umorismo è davvero così importante?
«Fondamentale: è un modo di vedere le cose, spietato ma allo stesso tempo affettuoso. È la capacità di cogliere un aspetto della realtà che gli altri non vedono ma subito condividono».
Le storie, le battute, nascono di getto o sono un esercizio ?
«Entrambe le cose: l’ispirazione nasce di getto, poi c’è tutta una parte a mente fredda, con metodo. Io non sono particolarmente metodico, scrivo seguendo l’ispirazione che deve essere libera, addirittura inspiegabile, perchè le storie a un certo punto prendono la direzione che vogliono loro. Ma poi ci vuole la tecnica, soprattutto è necessario affinare i dialoghi che sono il cuore del libro, il luogo dove i caratteri dei personaggi vengono fuori davvero».
E il messaggio?
«Il messaggio per me non è poi così importante: è più importante che di fronte a una storia che ha diversi piani di lettura ogni persona ricavi il suo messaggio personale, anche non condivisibile».
Il surreale gioca un ruolo importante nella storia. Penso alla musica classica che proviene dalla Giulia 1300 sepolta...
«Mi piace fotografare la quotidianità per poi sgattaiolare dal realismo e creare situazioni surreali. È un equilibrio: il surreale ha bisogno del realismo per essere coinvolgente, il realismo ha bisogno di un cambio di rotta perché è lì che poi si trovano le invenzioni, la fantasia e a volte la magia. Non è questo in fondo il segreto ultimo della scrittura?»