La firma del puparo
Autore: Carla Colledan
Testata: Mangialibri
Data: 27 febbraio 2015
Il paragone fra la preparazione di un omicidio di mafia e la mattanza dei tonni è perfetto, solo che adesso non si ammazza più come una volta, la tecnologia ha reso tutto complicato; bisogna stare attenti ad ogni particolare, ma non per questo la mattanza umana si ferma, e Vito Buscemi lo zoppo, tecnologia o no, continua ad eseguire gli ordini. Nino Calabrò, ‘ndranghetista calabrese, sostiene di avere informazioni sulla scomparsa di Michele Sanfilippo, un giornalista di quelli che le inchieste sulla mafia le faceva davvero, uscito di casa cinque anni prima e scomparso nel nulla. L’inchiesta è finita sulla scrivania di Cordero che si reca immediatamente nel carcere dove è detenuto il calabrese ormai diventato a tutti gli effetti un pentito. Il pentimento di Nino ha una ragione, anzi quattro: una giovane moglie, due figlie piccole e l’ultimo nato. Se non alla sua, deve pensare alla loro sicurezza. La stranezza è che Calabrò oltre a richiedere protezione per la sua famiglia “impone” che la tutela dei suoi e l’indagine siano affidate al tenente Rocco Liguori…
Il terzo romanzo che vede protagonista Liguori stavolta mette in luce aspetti poco conosciuti di quello che sono le vite dei “pentiti”, dei criminali diventati collaboratori di giustizia. Parte dalle logiche criminali delle cosche: alla fine - come ci hanno insegnato i telefilm americani con protagonisti i profiler - chi combatte il crimine deve imparare a pensare come i criminali restando però dalla parte giusta della barricata. Deve capire quali sono le motivazioni che portano al pentimento, deve arrivare quasi a scendere a compromessi – almeno per quanto possibile – con i pupari appunto, con chi tira le fila di spietate marionette. E deve andare anche oltre cercando quello che comunque rimane nascosto. Nel momento in cui un personaggio diventa seriale è inevitabile credo che l’autore senta l’obbligo di farci vivere oltre al suo lavoro anche i suoi pensieri, il suo sentire: e Roberto Riccardi, giornalista ma soprattutto Colonnello dei CC, lo fa con una scrittura cruda ma gentile e decisamente godibile, senza venir meno a quello che è il puro (e duro) plot noir.
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