Esiste sicuramente una “casta” più casta delle altre, chi ha la curiosità di spiarne stili di vita abitudini o per meglio dire vezzi non deve far altro che leggersi il saggio narrativo del giornalista sovietico Valerij Panjuskin, classe 1969, non a caso intitolato L’Olimpo di Putin. Manuale del giocatore. Il libro è uno studio dettagliato sui comportamenti di un tipo umano ricorrente ad ogni latitudine, ma che nel quartiere della Rublevka, a Mosca, si manifesta con peculiarità introvabili in altri Paesi. Il potere elegge i propri spazi anche a Roma o a Parigi, ma il cittadino delle metropoli d’Occidente, smaliziato, non mitizza i potenti, non vive a una distanza siderale da essi, mangia gli stessi cibi, guida le stesse auto, fa di loro oggetto di gossip e si scandalizza perfino dei loro non meritati privilegi, ereditati o conquistati che siano.
Nella Russia del terzo millennio, a quanto pare, esistono ancora gli Dei e gli Dei abitano un Olimpo rigorosamente precluso alla gente comune. Senza l’ambizione di carpirne i segreti o consapevole di non poterlo fare, Panjuskin vi penetra da intruso limitandosi, testimone neutro, a rubare qua e là immagini, dichiarazioni, aneddoti: ne risulta un dossier di informazioni più curiose che incandescenti almeno a un’immediata lettura. Gli intrighi politici ed economici, le ascese e le cadute in disgrazia improvvise, restano sullo sfondo, così come Putin e Medved’ev vengono relegati in un ruolo del tutto marginale, eppure la demistificazione del «plutoteismo» della “monarchia” putiniana non potrebbe essere più tagliente: il quadro tracciato è una via di mezzo fra il grottesco e il tragico, una contaminazione fra Gogol e Cechov.
Il giornalista, paragonando gli abitanti della Rublevka (è il titolo originale, in quello italiano si perde l’assonanza con "roulette") ai partecipanti a un video gioco, ne ha tradotto icasticamente l’assurda sudditanza a un percorso tanto prestabilito quanto insignificante non solo nella sostanza ma persino nell’apparenza: si lotta per emergere e quando si raggiunge la meta, l’esistenza si trasforma in una serie di riti futili e di mode effimere all’interno di sontuose dimore, trionfo del kitsch, fatte ad imitazione di chiese, Palazzi d’Inverno e castelli della Loria.
Difficile non confrontare l’alienazione dei manichini asserviti agli idoli del Dio denaro, immobili per ore sul ciglio della strada bloccata per il passaggio del laeder, con la dignità dei protagonisti del precedente libro di Panjuskin, Dodici che hanno detto no (sempre edito da E/O).