Una famiglia sotto protezione, il mistero della scomparsa di un giornalista palermitano, i messaggi criptati del “puparo”, il deus ex machina di una sanguinosa guerra tra cosche: nella sua nuova avventura, La firma del puparo (edizioni e/o, collana Sabot/age), il tenente Rocco Liguori non avrà un attimo di tregua. Anche perché, questa volta, la penna del colonnello dei carabinieri Roberto Riccardi lo ha descritto un po’ meno rigido e un po’ più umano, pronto a fare i conti con un passato doloroso e con un presente che lo vede (finalmente!) innamorato.
Dopo il narcotraffico internazionale di Undercover e i drammatici strascichi della tragedia dei Balcani di Venga pure la fine, l’attuale tappa di Liguori è Palermo: Nino Calabrò, l’amico d’infanzia dell’ufficiale, esponente di spicco di una ‘ndrina dedita al traffico degli stupefacenti – arrestato proprio da Liguori - ha deciso di diventare collaboratore di giustizia.
La Sicilia accoglie il tenente con un’ aura omertosa, minacce esplicite recapitate direttamente sulla sua scrivania e una girandola di personaggi tutti ben delineati, come è nello stile di Riccardi.
La trama è incalzante, dinamica, ricca di intrighi. I personaggi maschili combattono o impersonano il male, quelli femminili sono pronti a solidarizzare e ad aiutarsi a vicenda.
All’ombra del “puparo”, uomo dall’indiscusso carisma che muove i suoi burattini/sicari, si snoda una serie di vicende e relative indagini che vedono il tenente dell’Arma in prima linea. Su tutte, la responsabilità di proteggere la famiglia di Nino Calabrò: “(…) Rispondere dell’incolumità di una famiglia è un compito senza eguali, ti sembra di non avere abbastanza mani per proteggere, occhi per vedere, gambe e testa per portarti dove serve”.
La firma del puparo è un’altra bella sfida per Rocco Liguori e conferma il talento del colonnello Riccardi.
Ilmiot ha intervistato l’ufficiale.
A Palermo lei ha trascorso alcuni anni per lavoro. Il clima che traspare nel libro, così ostile alle divise, lo ha percepito realmente?
“Sono andato a Palermo appena uscito dalla Scuola ufficiali, su mia richiesta. Ci sono rimasto sei anni vivendo un periodo molto difficile, quello delle stragi. L’ostilità che ho trovato, e riportato nel romanzo, è però riferita al solo contesto mafioso. Cito testualmente dal romanzo, a pag. 59: “… (pensai) … al torto di assimilare alla piovra, in accuse frettolose e infamanti, una regione abitata da milioni di onesti, fra i quali spiccano le vittime di una lotta al cancro mafioso che i siciliani li ha sempre visti in prima fila””.
La firma del puparo descrive un tenente Liguori più morbido, meno “militare” rispetto ai due libri precedenti. Si è addirittura innamorato sul serio e sembra intenzionato a dichiarare i suoi sentimenti. E’ un primo passo verso un’ulteriore svolta “sentimentale” dell’ufficiale?
“Da Undercover a Venga pure la fine, per arrivare all’ultima creatura, il personaggio vive una costante evoluzione, pari a quelle che accadono alle persone vere. Del resto sarebbe impensabile che non fosse così. La firma del puparo lo vede di nuovo in lotta coi suoi sentimenti, ma forse più consapevole di ciò che prova, più disposto ad affrontare le conseguenze delle sue scelte d’amore. E nel romanzo scopriamo qualcosa sulle sue motivazioni, sulla paura che ha di affiancare al proprio cammino una compagna. Quella che lei possa finire – anche qui sto citando – “sulla sua stessa traiettoria””.
Colpisce, come è accaduto con Undercover e Venga pure la fine, il ruolo delle donne protagoniste del suo libro: anime nobili, solidali tra loro. Ha preferito stemperare lo squallore di un contesto ad alto tasso criminale con la delicatezza femminile o ci sono altre motivazioni?
“Lo dico con sincerità: ho dell’altra metà del cielo un’altissima opinione. Forse sono stato fortunato, ma le figure femminili che hanno costellato la mia esistenza sono sempre state persone di grande livello etico e intellettuale. Non ci sono dunque altre motivazioni. La donna per me è delicatezza, è vero, ma anche molto altro. Guardando a Vera Morandi, a Francesca Mucci, a Chiara Sanfilippo e perfino a Rosaria, con la sua evoluzione all’interno della trama, penso risulti piuttosto evidente”.
Il finale del suo libro spiazza il lettore. Qual è il segreto di colpi di scena così ben strutturati?
“Dormire poco la notte. Scherzi a parte, per fare narrativa sono importanti in particolare due elementi: le idee e la capacità di scrittura. C’è chi è forte nel primo aspetto, chi eccelle nel secondo, chi se la cava ugualmente bene con entrambi. Io mi ritengo nella media, non ho nessuna pretesa, ma un dono so di averlo: non ho problemi di inventiva. Non faccio fatica a congegnare un intreccio, temo anzi che non riuscirò mai a scrivere, per mancanza di tempo, tutte le trame che si disegnano ogni giorno nella mia mente”.
Quali sono i suoi modelli letterari?
“Nel genere di cui ci stiamo occupando, il mio riferimento è senz’altro Leonardo Sciascia. Ma non amo fossilizzarmi sul genere, mi piace pensare che il noir non sia una gabbia, o – se lo è – che abbia sbarre così grandi da far passare la poesia, la malinconia, la passione, la sofferenza. In una parola: la vita”.
Roberto Riccardi, colonnello dell’Arma e giornalista, è nato a Bari nel 1966 e vive a Livorno. Ha lavorato a Palermo negli anni delle stragi e poi in Calabria, a Roma, in Bosnia e Kosovo quale componente dei contingenti di stabilizzazione. Con il personaggio di Rocco Liguori ha già firmato per la collezione Sabot/age delle Edizioni E/O il noir imperniato sul ruolo degli agenti sotto copertura Undercover. Niente è come sembra (2012), che ha vinto i premi Biblioteche di Roma, Azzeccagarbugli e Mariano Romiti, e il romanzo sullo sfondo delle guerre balcanicheVenga pure la fine (2013), candidato al Premio Strega 2014, che ha ottenuto riconoscimenti ai Festival del noir di Serravalle e Suio Terme. Ha inoltre all’attivo due romanzi nel Giallo Mondadori, il primo dei quali, Legame di sangue, gli ha fruttato il premio Tedeschi nel 2009. Ha pubblicato tre libri sulla Shoah per l’editrice Giuntina: Sono stato un numero (2009), La foto sulla spiaggia (2012) e La farfalla impazzita (2013, scritto insieme a Giulia Spizzichino). Con Sono stato un numero, opera premiata da “Adei-Wizo”, l’Associazione Donne Ebree d’Italia, si è aggiudicato il premio Acqui Storia.