Venezia, Anno Domini 1106. La città che conosciamo, ricca, potente, con i suoi maestosi palazzi e chiese, non è ancora nata: è solo un agglomerato di isolette di fango rubate alla laguna. Questo è il paesaggio che si presenta a Edgardo d’Arduino, giovane chierico amanuense dell’abbazia di Bobbio, quando arriva a Venezia. Una malattia l’ha colpito agli occhi, la vista vacilla, e per uno scriba dedito alla copiatura questo significa la fine di tutto. Edgardo ha avuto notizia che a Venezia, città di vetrai, conoscono un rimedio che guarisce gli occhi malati: una pietra per leggere, “lapides ad legendum”, che permette di continuare a vedere. Edgardo comincia la sua ricerca disperata della pietra miracolosa e viene subito in contatto con il mondo dei fiolari, i vetrai di allora, molto numerosi e attivi. Ma è appena stato commesso un delitto atroce: un giovane garzone è stato trovato morto con gli occhi cavati; al loro posto uno schizzo di vetro trasparente. La ricostruzione attenta e storicamente attendibile di una Venezia medievale mai raccontata prima fa da sfondo a una storia d’amore e di riscatto, attraversata da delitti orribili, false amicizie, lotte di potere, cataclismi e sconvolgimenti naturali.Roberto Tiraboschi è nato a Bergamo, vive a Roma. È sceneggiatore e autore teatrale.
INTERVISTA A ROBERTO TIRABOSCHI, SABATO 14 FEBBRAIO 2015 (a cura di Luca Balduzzi)
Che cosa l’ha attirata maggiormente verso un’epoca storica decisamente inusuale per una ambientazione veneziana di un romanzo?
L’idea nasce in primo luogo dall’interesse verso un’epoca, il medioevo, vista spesso come un periodo oscuro e arido nella storia dell’umanità. In realtà non è così, il medioevo è stato la sorgente alla quale si è abbeverato il Rinascimento. Poi c’è il grande amore per Venezia e la voglia di trovare una risposta alle molte domande sulla nascita di una città così particolare. Dal punto di vista letterario mi affascinava l’idea di raccontare una Venezia inedita, una città di fango e paludi, lontana dall’iconografia più conosciuta della Serenissima rinascimentale. Con La pietra per gli occhi-Venetia 1106 d.C. ho cercato di accompagnare il lettore in una storia avvincente ed emozionante e nello stesso tempo di guidarlo in un viaggio alla scoperta di una Venezia nascente, rispondendo alle domande che noi tutti ci poniamo su come è potuta organizzarsi e svilupparsi, anche nella vita di tutti i giorni, una città costruita sull’acqua.
Dove le è stato possibile recuperare le documentazioni più precise ed esaustive su come fosse la città in quell’epoca?
I documenti d’archivio di epoca medievale sono rari, considerando il fatto che tutto andava trascritto a mano e che moltissimi incendi hanno devastato la città in passato. Esistono però testi importanti sulle origini di Venezia, tra i principali gli studi di Dorigo e di Perocco. Ho passato giornate meravigliose alla biblioteca Marciana alla ricerca di volumi che potessero darmi un’idea di come era la vita a Venezia in quel periodo e di come si articolasse il lavoro nelle fornaci dei vetrai. Di grande aiuto sono stati anche i resoconti degli scavi archeologici compiuti a Torcello e nella laguna veneta.
Già allora, Venezia era conosciuta ed apprezzata per il lavoro dei suoi vetrai. Ed anche nel romanzo, quella riservata a loro è una parte che si può definire da protagonisti…
Nel medioevo le fornaci dei vetrai non erano concentrate a Murano, erano numerose anche a Venezia e i resti di un forno sono stati scoperti durante uno scavo archeologico a Torcello. Il mestiere di soffiatore di vetro era quindi già molto diffuso. Il romanzo ruota intorno alla scoperta delle prime lenti per occhiali, sulla quale non si hanno notizie precise. Gli studiosi però sembrano concordare sul fatto che probabilmente avvenne, quasi per caso a Venezia, per merito di un oscuro cristallere, l’artigiano che lavorava il cristallo di rocca. Nel 1300 abbiamo documenti che parlano di “roidi da ogli”, tondi da occhi. Io ho immaginato che questa scoperta avesse radici più antiche e che un fiolario, così era chiamato il vetraio allora, inseguisse il sogno di trovare la ricetta per fabbricare un vetro puro e trasparente come il cristallo. Queste ricette erano segrete e custodite con molta cura e la lotta tra i vetrai per impadronirsi di un ricettario poteva diventare anche molto cruenta, fino all’omicidio.
Personaggi inventati si intrecciano con figure storiche realmente esistite…
I protagonisti del romanzo sono di pura invenzione, anche se mi sono ispirato a modelli di personaggi storici realmente esistiti. Anche i nomi sono stati presi da documenti che riportavano nominativi originali dell’epoca. Carimanno, per esempio era veramente l’abate del monastero di San Giorgio a quei tempi. Naturalmente ho lavorato di fantasia per farne un personaggio con una sua personalità e un aspetto fisico che colpisse il lettore.
Leggendo alcuni punti del romanzo, è facile immaginare il testo (anche) come una sceneggiatura per un film… deformazione professionale?!
Spesso quando il lettore si trova immerso in un denso mondo narrativo, immagina che il materiale letto si possa trasformare facilmente in versione cinematografica e che magari lo scrittore lo abbia concepito con questa finalità. Io, pur facendo anche lo sceneggiatore, non penso mai al cinema quando scrivo un romanzo, sarebbe molto limitante. Quello che oggi ci fa pensare al cinema è la capacità di un narratore di trascinare il lettore in un universo visivo potente, costruito attorno a personaggi memorabili, ad una storia avvincente che riesce a far percepire odori e sapori di un epoca. E’ questo che dovrebbe provare a fare ogni buon romanziere.
http://www.imolaoggi.it/2015/02/14/uninusuale-venezia-medioevale-nel-noir-di-roberto-tiraboschi/