Cosa vuol dire essere italiani? È partendo da questa domanda che il critico e saggista Filippo La Porta ha scritto il suo diario, scaturito da un soggiorno di sei mesi negli Usa, che nasce dal dialogo tra due immaginari, quello italiano e quello americano. Un tour tra luoghi reali e analisi di stereotipi che raccontando come gli americani vedono gli italiani (e viceversa) si trasforma in una riflessione sul nostro carattere di «patrioti inclini allautodenigrazione». La vena comparatista tra le arti cinema, letteratura, pittura si alterna a divertenti episodi personali: dalla visita al «cocktail party protestante» agli «assorti dimostranti di Union Square» che manifestano contro la guerra in Iraq, ma ordinatamente, non più di 50 persone, perché il sindaco lo vieta. Ne esce un ritratto che racconta bene la differenza tra lelasticità mediterranea e la rigidità americana con i rispettivi paradossi. Infine, nume tutelare per riprendere un discorso sullidentità italiana è Carlo Levi uno dei «maestri irregolari» cari allautore - che trovò nella «Bellezza» la prima radice dellItalia. Il problema sta nellesprimerla, non attraverso «la cosa peggiore che importiamo da oltreoceano: la mania di spettacolarizzare tutto», ma recuperando la coscienza della bellezza come storia e valore. Certo, brucia un fatto, ed è lattualità dei modelli: per capire lItalia si torna a Levi negli anni Sessanta, per gli Usa, come fa La Porta, ci si può rivolgere a South Park, corrosiva serie animata da Matt Stone e Trey Parker, e a The Simpsons di Matt Groening.