Ragionare sul libro Storia della bambina perduta, o ancor di più valutare ed analizzare l’intera quadrilogia di Elena Ferrante a cui appartiene, è un’impresa difficile; non solo per la mole di fatti narrati, per il notevole numero di personaggi coinvolti, ma soprattutto per il forte impatto emotivo che ne deriva. Ci si confronta con queste pagine in uno stretto meccanismo di messa in discussione, abbandonando già dai primissimi approcci le vesti di lettore passivo per entrare nella storia e sentirla immediatamente sulla pelle.
Storia della bambina perduta (2014), è il capitolo conclusivo di un’intensa saga, partita con L’amica geniale nel 2011 e sviluppata attraverso altri tre romanzi pubblicati a distanza di un anno uno dall’altro (Storia del nuovo cognome, 2012;Storia di chi fugge e di chi resta, 2013). Ho riflettuto a lungo su come introdurre in maniera esaustiva questa immensa storia ma mi sono scontrata con l’impossibilità di rintracciarne un aspetto che potesse prevalere sugli altri, rischiando di fare un torto ai filoni che passerebbero in secondo piano. Il romanzo (nella totalità dei quattro volumi) è un mosaico mozzafiato, una materia troppo viva e straripante da perderci il filo ogni qual volta lo si provi a smantellare.
L’ultimo volume della saga (come i capitoli che lo precedono) vede il fulcro della storia nella contraddittoria amicizia tra Elena e Lila, a questo punto del racconto ormai appesantite dalla maternità e dalle responsabilità che ne derivano. E’ l’affresco di una città altrettanto contraddittoria come Napoli, in bilico tra degrado e rivoluzione; è la storia di un’Italia che affronta il dopoguerra, scenario delle lotte femministe, di corruzioni politiche, che assiste curiosa all’ingresso dell’informatica nelle vite private. E’, infine, la conclusione del percorso di vita delle due protagoniste e di tutti i personaggi che ne fanno da cornice, nell’impossibilità di riuscire a parlare di happy ending, quanto piuttosto di un finale “sospeso” tra interrogativi e dubbi che forniscono innumerevoli spunti di riflessione, che costituiscono le fondamenta della grandezza di questo lavoro. Elena e Lila, eterne presenze di questa quadrilogia e protagoniste indiscusse, cambiano, crescono, in un lasso di tempo che si sviluppa dal 1950, appena bambine (L’amica geniale), fino ad arrivare ai giorni nostri.
Storia della bambina perduta è la parabola dello smarrimento, l’epilogo di un’esistenza vicolo cieco che sembra non poter condurre ad altre vie di fuga. Elena Ferrante ci regala una conclusione poco ottimista, rafforzando un leitmotivche ricorre costantemente: la vita regala effimeri momenti di salvezza, ma il passato da cui tentiamo di fuggire ci accompagna sempre. Passato che talvolta quasi si umanizza nell’ingombrante presenza del Rione, che oltre a fare da sfondo a gran parte dell’opera, costituisce una potente forza a tratti negativa e a tratti positiva che affascina e affatica, un luogo pulsante di vita e stimoli, indispensabile anche quando più crudele, come l’enigmatico personaggio di Lila.
Storia della bambina perduta è la definitiva conclusione che non esistono personaggi positivi o negativi. La genialità a cui si fa riferimento inizialmente non è altro che una caratteristica di entrambe le donne di riuscire a comprendere che il destino è forse più forte dello sforzo umano. E l’illusione di Elena, ormai sola e anziana con un pugno di interrogativi in mano, di essere riuscita a scappare e a salvarsi affermandosi come scrittrice, ne è la spudorata dimostrazione perché “a differenza che nei racconti, la vita vera, quando è passata, si sporge non sulla chiarezza, ma sull’oscurità”.
Voto 10