Andrea D’Urso, romano, non fa in tempo a scrivere la parola fine del suo primo romanzo, dopo tanti racconti e poesie, che lo pubblica (per le Edizioni e/o, altrettanto romane) e finisce dritto in finale tra gli otto del Premio Calvino 2013.
Debutto col botto con Just a gigolò, 172 pagine 16 euro. L’argomento è scabrosetto, ma trattato con grande misura: sesso a pagamento, di una donna con un uomo, però non si pensi al solito cliché maschio-femmina, qui chi è in affitto è un lui e chi acquista le prestazioni mercenarie è una lei, o meglio diverse lei, decine di lei. Ribaltamento non tanto di genere quanto di ruoli. Il gentil sesso si ritrova a cacciare la mano nel borsellino per tirar fuori i bigliettoni o, se si vuole, a staccare l’assegno dal libretto.
Ventidue capitoli, un terzo dei quali dedicati a un nome di donna, gli altri a cose e città, secondo una sequenza fissa (il trittico nomi, città, cose) che deriva da uno dei giochi da bambini che il protagonista faceva con la sorella.
Si comincia da Marisa, Nizza, profumo. Marisa è la prima signora con cui il professionista dell’erezione va per mestiere, una cinquantenne separata, un po’ in carne ma non sgradevole e con una bella pelle. È anche il nome della madre della voce narrante, insomma, del protagonista, che si chiama Pino Silvestre, proprio così e pensa che il padre gliela poteva risparmiare quella sorte. Invece, si direbbe che il signor Silvestre l’abbia lungamente covato lo scherzetto di chiamare Pino il figlio maschio, imponendogli tra nome e cognome il marchio di un noto bagnoschiuma degli anni Settanta. Non Mario, non Giulio, non Andrea o altro di banale o innocuo. Tra tutti, doveva essere Pino, Pino Silvestre.
A sedici anni ha fatto il calciatore, Sampdoria giovanile, due stagioni, poi è scivolato in Eccellenza e ha mollato. A vent’anni aveva desiderato fare il poeta, bello e maledetto. A trenta si ritrova a fare le marchette, anche con le sessantenni rinsecchite, totalmente rifatte. Mai vista una così ben assemblata sincronia di cedimenti, dice di quella eccentrica miliardaria di Nizza.
Assicura, però, che il suo è sempre un buon lavoro. Pulito e preciso. Un vero professionista del sesso. Certo, ha fallito come calciatore. Ha fatto, per poco, il distributore di volantini, il pony express, l’agente immobiliare. Ha lavorato nei pub, nelle pizzerie, come commesso e altro. Poi ha scoperto il talento nascosto, che esprime con le donne, con tutte, purché paghino.
La sua filosofia di vita? Il nonno andava con le donne, appena aveva un soldo lo spendeva per comprarsele. Anche il padre frequentava un sacco di “amiche”, ma senza pagarle, non ne aveva bisogno, era bello sebbene fosse un pezzo di… Quanto a se stesso, pure lui va con tante, perché è bello e pure perché è un altro pezzo di… ma si fa pagare. A questo punto, dice di non sapere, francamente, cosa potrebbe accadere alla prossima generazione e del resto non gli interessa, almeno così garantisce, dopotutto di figli non ne ha e dubita che ne avrà mai.
Sì, il padre era veramente un tipaccio, anzi, lo è ancora, infatti dovrebbe essere ancora in vita. Era prepotente, rissoso, manesco con la moglie e i figli, incapace di amare. E la madre era una vinta, una succube, nonostante i frequenti tentativi di ribellione, stroncati a forza di botte. La sorella, Franca, ha finito per perdersi, bucandosi all’infinito, anche se sopravvive all’eroina, non si sa come.
Quanto alle clienti, a suo dire, quando realizzano che quel bel giovanotto è solo un perfetto scemo, fanno cadere le difese caratteriali, si aprono, riescono a rivelare tutto se stesse.
Finale con giallo, a Venezia. E forse al peggio c’è rimedio. Non bisogna mai dare il futuro per scontato, mai giurare: non avrò figli. Mai dire mai.
http://www.recensionilibri.org/2014/12/just-gigolo-un-mestiere-che-ribalta-ruoli.html