Incipit. Un braccio magro dal pugno stretto e scuro entra nella pagina. Un branco di sardine verdemare attraversa il foglio bianco, arriva alle parole: «In cielo non c'era una nuvola. Nemmeno una. La mano di Dio le aveva allontanate con un gesto delicato perché l'azzurro più intenso splendesse sulla traversata del peschereccio Firouz».
Trama. L'Africa che si stipa in barconi ridotti a rottami, la lingua di quella realtà che ha trasformato i fondali di Lampedusa in cimiteri. L'Africa del foggara, rabdomante un poco mago che sa trovare l'acqua sotto il deserto per far sopravvivere la sua comunità. Mestiere che non prevede un'acqua, altrove, che possa essere così tanta da annegarli tutti. L'Africa delle leggende, che non conosce limiti di tempo né di spazio, dove un nonno foggara può cercare di proteggere dal mare un nipote migrante mettendogli in mano cinque grani di pepe - «le cinque fortune», si chiamano - e poi, una volta caduta quella prima difesa, offrirsi lui alla morte, in cambio di una vita troppo giovane.
Ci sono almeno tre Afriche in questo esile libro di venti pagine scritto da Massimo Carlotto e quasi altrettanti acquerelli dipinti da Alessandro Sanna, che si guarda e si legge in pochi minuti, ma si rilegge presto - e si rileggerà ancora, come le fiabe. Il titolo, La via dle pepe. Finta fiaba africana per europei benpensanti, spiega appunto che la fiaba c'è, anche se per finta. La trama prosegue usando i vari piani di narrazione in un miscuglio che con la morte parla e vive, per dichiarare, ricordarci, quanto vale una vita. Anche africana. Proprio perché africana: densa di leggende, vie del pepe, e di foggare, al posto del radar che perdono umani e pescherecci in frantumi fra le sardine nel canale di Sicilia.
Stile. L'acquerello è determinante nell'accompagnare le parole volutamente semplici, che conducono per mano, passo passo come un bimbo, l'europeo benpensante in questo breve viaggio di rieducazione alla coscienza degli altri, costringnedo il lettore a seguire lo spostamento continuo di livello fra il reale e il fantastico ma accaduto, fino a farlo arrendere davanti al concetto che quel brano del racconto, quell'acquerello, quell'effetto, magari non sono veri, però ci sono luoghi dove sono proprio accaduti. Eccome se sono accaduti: quei morti, anche quando non hanno un nome e non diventano "nemmeno un dato statistico", come scrive Carlotto, in fondo al mare ci sono. Il passato insegna, spesso le storie dei vinti hanno bisogno di diventare leggende, fingersi fiabe, per poter essere raccontate.
Pregi e difetti. Centrale, appunto, il pregio dei due strumenti, penna e pennello, usati insieme in quella che sembra un'ottima sintonia fra i due attori. Segue il pregio di una semplicità disarmante che inganna, costringe ad andare avanti, fino a dove magari - sapendolo - non si sarebbe mai voluti arrivare, con momenti di dolore insapettati, anche se il finale resta segnato dall'ottimismo. Il difetto è forse nella brevità, ma la forma quasi di ballata, o piccolo poema in prosa, lo fa dimenticare.