Se per distopia intendiamo la rappresentazione di una società “indesiderabile sotto tutti i punti di vista”, ambientata in un futuro prossimo o in un presente alternativo, allora nel romanzo di Luca Poldemengo di questi elementi indesiderabili ne troviamo davvero tanti; ad iniziare dai personaggi che tirano le fila della vicenda, non classificabili semplicemente in buoni e cattivi, meglio in disturbati e disturbanti. Possiamo intuire quindi che il “posto sbagliato” del titolo non è soltanto riferito ai poveri disgraziati che scopriremo testimoni inconsapevoli di delitti, ma è la stessa Italia decadente che fa da sfondo al romanzo: “la baia, le acque fetide, la sottile e lercia lingua di sabbia, la decadente ruota panoramica. Tutto ciò avrebbe dovuto fungere da monito all’idiozia umana. I raggi malati che bruciavano il volto di Vincent affacciato alla finestra e le immondizie sparse in ogni angolo raccontavano un’altra verità” (pag. 121). Molte delle pagine di Poldelmengo ci fanno pensare ad un presente alternativo piuttosto che ad un prossimo futuro, a cominciare dai temi affrontati, tutti di stretta attualità e qui portati alle estreme conseguenze.
La scena si apre su di un sanguinoso attentato alla stazione centrale; ed ecco che immediatamente interviene la Red, una misteriosa squadra investigativa diretta dal dottor Basile, inventore dello spregiudicato metodo di indagine che la caratterizza. Ne fanno parte Leo, Sara e il commissario capo Vincent Tripaldi, più anaffettivo che cinico, il quale si capisce presto aver avuto seri problemi col gemello omozigota Nicolas. Investigatori decisamente particolari e con pochi scrupoli perché, senza essere legittimata dalla legge ed operando nell’ombra soltanto per volere del premier conservatore Benedetto Lacroix, la squadra di Basile si orienta in prima battuta grazie al monitoraggio dei cellulari, andando a recuperare coloro che, per puro caso, si sono trovati vicino al luogo in cui si è consumato un delitto. Letteralmente rapiti in nome di esigenze superiori di “giustizia e sicurezza” i “Pov” (Point of View) i testimoni a loro insaputa vengono ipnotizzati, sedati, interrogati e, col supporto di sofisticate e invasive apparecchiature, quanto appena visto di sfuggita e dimenticato appare come ologramma su video: un’applicazione violenta di ipermnesia ipnotica, che intende sacrificare la privacy del cittadino in nome di interessi superiori; e che oltretutto rischia di far emergere il cosiddetto “Black”, ovvero episodi terribili, lontani nel tempo, che le autodifese dell’individuo hanno rimosso e relegato nell’inconscio. Poco dopo aver catturato i responsabili dell’attentato alla stazione viene ritrovato il cadavere di Naima Lalami, “apprendista” commissario, l’unica donna che sembrava scuotere il gelido Nicolas Tripaldi. I sospetti si addensano su tutti i componenti della squadra e, proprio applicando il metodo Basile su coloro che fino a quel momento erano stati carnefici e giustizieri, molte certezze verranno meno, distruggendo, di colpo di scena in colpo di scena, convinzioni che si credevano consolidate.
Dentro questo quadro cupo, dominato da personaggi fragili e immorali, si inseriscono le figure del dottor Francesco Oberdan e dei due politici, Benedetto Lacroix e Mattia Manera probabilmente burattinai di trame ancora tutte da chiarire. Basti pensare che proprio Oberdan, improbabile consulente di Basile, pur rivelatosi viscido e corrotto tanto nell’animo quanto nel corpo, alla fin fine si dimostrerà più limpido e pulito di altri personaggi inizialmente descritti come fedeli alla causa della Red e alla difesa dell’ordine pubblico. La distopia in questo caso è quasi attualità, non tanto per la presenza nel racconto di un governo conservatore assediato da un’opposizione di sinistra (oggi semmai siamo in mano ad una roba indistinta fatta di inciuci e di quinte colonne) quanto per la rappresentazione di alcuni elementi che sembrano evocare uno dei nostri salvatori della patria, almeno quello più giovane e chiacchierone: “L’estrazione sociale, la formazione cattolica e una certa visione comune su alcuni temi politici sembravano collocarlo tra le fila dei conservatori. Ciononostante Manera aveva preferito aderire all’altra compagine, quella dei progressisti, intuendo, quasi divinando, che lì vi fosse lo spazio, che era lì che mancava un leader, che sarebbe potuto essere lui l’alternativa a Lacroix per la guida del Paese […] Anche i ceti meno abbienti lo avevano in simpatia per quel look informale, l’assenza della cravatta, la faccia pulita e l’eloquio semplice, da vicino di casa” (pag. 140). E poi le sue parole confidenziali rivolte all’anima nera della vicenda, subito dopo aver preso possesso delle stanze del potere: “Ma ora tutto deve cambiare, affinché nulla cambi. Andiamo” (pag. 169).
L’epilogo del romanzo che, come in ogni noir che si rispetti, conferma quanto labili siano i confini tra bene e male, tra giusto e ingiusto, tra realtà ed apparenza, ci conduce ad una fuga che però non chiude il caso: l’ultimo colpo di scena svela il complesso inganno che ha coinvolto il commissario Tripaldi e la sua squadra, ma non vedrà affatto vincere la giustizia, né quella che intendiamo noi, sopravvissuti del mondo reale, e nemmeno quella distorta dalle prassi della Red e dei suoi cinici burattini e burattinai.
Poldemengo è uno sceneggiatore, la cui prosa difatti non indulge troppo in divagazioni e descrizioni d’ambiente, si capisce che non gli è affatto estranea la cosiddetta fiction in virtù anche di un certo compiacimento nel dare ampio spazio ai ribaltamenti di prospettiva, allo svelamento di insospettate personalità criminali e di innocenti per anni nell’immeritato ruolo di colpevoli. Una trama costellata da interrogativi senza risposta, soprattutto nel campo dell’etica, e tutte queste incertezze sulla reale personalità dei protagonisti del romanzo contribuiscono alla narrazione di una società opprimente, fondata sulle apparenze, con una realtà che va ben oltre la percezione di tanti ingenui cittadini sopraffatti sia dal crimine, sia dai metodi invasivi della Red, sia dalle trame di due politici tra loro molto più in simili di quanto si possa pensare.
È il contesto di un’Italia distopica che alimenta la contrapposizione tra sacrificio della libertà personale e sicurezza collettiva: il commissario Tripaldi, in contrasto con le idee del pur corrotto Oberdan, per il quale “nessuna giustizia poteva fondarsi su un’ingiustizia, che certi diritti umani erano inalienabili” (pag. 185), non esita invece ad affermare come sia preferibile tenere un innocente in galera piuttosto che un colpevole in libertà. Modalità di combattere il crimine che porteranno alla rovina alcuni dei più convinti sostenitori del metodo Basile; ed invece al successo coloro che hanno sfruttato le ingenuità dei poliziotti giustizieri. L’epilogo della vicenda, proiettato in un futuro “vago e imprescrutabile” (pag. 188), fa pensare a dei sopravvissuti ormai pronti alla vendetta: tutto è possibile ora che hanno compreso cosa realmente si celava dietro la frase “non interessa ciò che sai, ma ciò che contieni”.
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE:
Luca Poldelmengo, è nato a Roma nel 1973. Alla sua attività di sceneggiatore dal 2009 comincia ad affiancare quella di scrittore, esordendo con il noir Odia il prossimo tuo (Kowalski), tradotto anche in Francia, finalista al premio Azzeccagarbugli e vincitore del premio Crovi come migliore opera prima. Nel 2012 pubblica L'uomo nero (Piemme), finalista al premio Scerbanenco, anch’esso tradotto in Francia. I suoi libri sono pubblicati in Francia per Payot & Rivages
Luca Poldelmengo, “Nel posto sbagliato”, Edizioni E/O (collana Sabot/age), Roma 2014, pag. 192.
Luca Menichetti. Lankelot, novembre 2014.
Recensione già pubblicata il 27 novembre 2014 su ciao.it e qui parzialmente modificata.