Controllo e violenza, sembrerebbe quasi un ossimoro ma non lo è. Tutt’altro. Due parole, controllo e violenza, che ben si insinuano nella trama de L’appuntamento che inizia quasi innocentemente con una cena in un ristorante. “Quasi” innocentemente, dicevo, perché l’atmosfera è sempre carica di tensione, di ansia, di un senso di attesa continuo. Una scenografia essenziale ma perfetta per l’inizio di un incubo. Un uomo e una donna ad un tavolo, a cena. È il loro primo incontro. L’uomo chiede, domanda, si insinua nella personalità della donna che deve solo rispondere, ubbidire. Sembra una partitura musicale, con un ritmo ben definito, un linguaggio semplice, frasi brevi, dialoghi scarni ed efficaci, un ritmo che a volte si fa sincopato, altre volte rallenta ma non si rilassa mai, anzi rilancia sempre in un crescendo che segue la trama del romanzo. Controllo e violenza, dicevamo all’inizio, che non esitano a impiegare i mezzi tecnologici che sono a disposizione in un’era dove la privacy è volutamente ridotta ai minimi termini grazie o per colpa (dipende dai punti di vista) dei social network. Per alcuni aspetti mi ha ricordato Arancia Meccanica. Alex beve latte + e ascolta Beethoven. Qui si sorseggia whisky e sono Thelonious Monk e John Coltrane, Chet Baker o Miles Davis, il jazz, insomma, a farla da padrone. Ma quel sentimento che accompagna la violenza, la gioia pura di fare del male, di sottomettere la volontà altrui, così sembra a me, sono molto simili. La catarsi sarà diversa. In qualche modo, ma non voglio dire né come né perché, si torna all’istinto primitivo e brutale: alla violenza ancestrale che da sempre accompagna l’uomo. Un romanzo da leggere di corsa, senza fermarsi, fino all’ultimo respiro.