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Recensione 'Storia della bambina perduta' di Elena Ferrante

Testata: La ragazza che annusava i libri
Data: 20 novembre 2014
URL: http://laragazzacheannusavailibri.blogspot.it/2014/11/recensione-storia-della-bambina-perduta.html?spref=tw

Storia della bambina perduta è l'ultimo capitolo della quadrilogia L'amica geniale in cui Elena Ferrante racconta la storia di Lenù e Lila, amiche nate entrambe nell'agosto del 1944 e cresciute a Napoli, città che più che fare da sfondo diventa materiaviva all'interno della narrazione.

Credo di essere una delle pochissime persone ad aver iniziato la storia di Lila e Lenù a partire dalla fine.  

Le ho trovate già donne, già delineate, eppure attraversate da una continua rivoluzione interiore, segnate dalle esperienze vissute e dominate dai loro caratteri così diversi.

Storia della bambina perduta racconta l'evoluzione delle loro vite dai trent'anni fino alla vecchiaia, entrambe alle prese con il loro essere madri, donne e personalità forti. Elena vive la sua carriera di scrittrice, non priva di ostacoli, e Lila gestisce la piccola ditta di macchine programmatrici. La storia ha inizio con Elena, la più equilibrata e giudiziosa tra le due, che stravolge sé stessa gettandosi a capofitto nell'amore per Nino e rompendo ogni argine di perbenismo e Lila, la più istintiva, che vive con apparente serenità la relazione con  Enzo. Intorno a loro realtà molto diverse, la Firenze culturalmente stimolante di Elena si contrappone alla Napoli di Lila, stagnante, sempre più assoggettata alle regole del rione e alle guerre interne per il potere. Quella Napoli che Elena, al contrario di Lila, ha avuto il coraggio di lasciarsi alle spalle. Ma tutto è destinato a cambiare e ogni equilibrio è solo un assetto precario, pronto ad essere stravolto dalle circostanze. Intorno a loro ruotano tanti altri personaggi che giudicano, condizionano, subiscono, le loro scelte.

La prima impressione che ho avuto inoltrandomi nella storia è che Lenù e Lila non potessero essere due personaggi di fantasia: sono troppo concrete, troppo reali, hanno pensieri troppo prepotenti e parole troppo taglienti per essere frutto dell'immaginazione di un autore. E l'elemento che fra tutti mi ha folgorato è stato proprio il rapporto tra le due. Non si tratta di una semplice amicizia, si tratta di un legame intenso, doloroso, di un doppio filo che le unisce negando la possibilità ad una di esistere senza l'altra, una dipendenza, una necessità a volte benevola, a volte distruttiva. Lila e Lenù sono due donne che lottano per cambiare il proprio destino, ma quando sembra che abbiano avuto il sopravvento sulle loro origini, sull'ambiente circostante avverso, tutto si rivolta, le meschinità riprendono terreno come erbaccia che soffoca una pianta buona. 

Non voglio inoltrarmi nella trama per non alterare il piacere della lettura, posso dire che l'ascesa emotiva raggiunge il culmine in un evento, una circostanza che cambierà per sempre entrambe le donne, un episodio che da lettore mi sono ritrovata a rivivere come in slow motion, i suoni attutiti, lo stradone, l'odore delle mandorle tostate, il battito accelerato e la consapevolezza che dopo quei pochi istanti niente sarebbe tornato come prima. Le loro vite che si erano avvicinate fino quasi a fondersi si allontaneranno di nuovo ma il loro legame rimarrà qualcosa di inscindibile ed eterno.

Per quanto mi riguarda, l'opera di Elena Ferrante meriterebbe di guadagnarsi un posto tra i classici contemporanei per la sua capacità di raccontare una storia che va ben oltre la storia, che si espande all'ambiente circostante, che ci parla attraverso persone reali, concrete, vive. Un approfondimento psicologico dei personaggi che va di pari passo ad una descrizione magistrale dello scorcio storico. Un linguaggio semplice ma al contempo incredibilmente evocativo.

Una penna che non può lasciare indifferenti.

La mia nota curiosa

Elena Ferrante è lo pseudonimo di un'autrice, o un autore, di cui si ignora la vera identità.

Frase sottolineata

Io amavo Lila. Volevo che lei durasse. Ma volevo essere io a farla durare. Credevo che fosse il mio compito. Ero convinta che lei stessa, da ragazzina, me lo avesse assegnato.