Democracy
Autore: Elisabetta Puzella
Testata: Mangialibri
Data: 18 novembre 2014
Il prezzo più alto pagato alla vita pubblica è, per Inez Viktor, la memoria. Prende la dichiarazione rilasciata ad un reporter la notte della sconfitta di suo marito nella corsa alla nomination per le Presidenziali come un’attestazione della difficoltà a tenere a mente la successione degli eventi, registra le piccole amnesie in merito a dichiarazioni rese, i travisamenti della stampa, la nebbia che avvolge la mente come dopo un elettrochoc. Non sempre la parola “prezzo” però è da intendersi in un’accezione negativa. Inez - per come ci è dato osservarla attraverso piccole tessere del puzzle surrealista che è la sua vita - ci appare come una persona che deve molto alle carenze della memoria collettiva e individuale. È nata Inez Christian in una famiglia di possidenti hawaaiani che coltiva le proprie memorie in maniera sacrale fino al momento in cui suo padre si macchia le mani di sangue ed ecco che tutti intorno a lei cominciano a lavorare indefessamente per cancellarne la memoria dall’opinione pubblica e dalla stampa. Le vite di molte delle persone che girano intorno ad Inez Viktor nata Christian sembrano dedite al rimaneggiamento della memoria collettiva di una nazione. Jack Lovett, il suo amante di lunga data, è un uomo “con degli interessi” nei luoghi più caldi dell’impegno americano “per la democrazia” nel sudest asiatico. Un uomo che ha assistito al nascere dell’avventura nucleare americana nel pacifico (uno degli spettacoli più meravigliosi cui abbia mai assistito) ed era presente nel 1975 all’evacuazione di Da Nang, il fallimento degli sforzi di esportazione, almeno in quella parte del mondo. Il marito di Inez, Harry Viktor, sostiene che il più grave errore che un politico potrebbe commettere sarebbe parlare con condiscendenza al popolo americano, ma non si fa scrupolo a cavalcarne la rabbia, l’indignazione, gli ideali per scalare la vetta delle istituzioni politiche, anche con l’aiuto di R.W. Dillon, che si occupa della campagna elettorale e tenta con tutti i mezzi di cancellare dalla memoria pubblica le defaillances della sua famiglia: incidenti, dipendenze, omicidi, relazioni extraconiugali…
La stessa autrice, che in un perfetto esperimento metaletterario pone se stessa al centro della narrazione, si presta a fornire l’ennesima lente distorsiva agli eventi, a sfumarne i contorni, a confonderne le trame narrative. Il lettore assiste al dispiegarsi del misterioso, intricato e indecifrabile edificio letterario e durante il suo dipanarsi è partecipe del processo creativo, della scelta dei materiali, delle visioni prospettiche, dei calcoli effettuati. Ma proprio come accade a Jack Lovett per gli esperimenti nucleari di cui è testimone, non gli si forniscono mai le vere chiavi di lettura, i codici interpretativi per decifrare i personaggi, che raccontandosi scrutinano al contempo l’autrice, ne inquisiscono le capacità narrative, non le dicono mai più di quanto vogliono sappia e di conseguenza di quanto il lettore è autorizzato a condividere; ne è un esempio la quasi incorporeità della storia d’amore tra Jack e Inez che nulla toglie alla sua assoluta sensualità, espressa con pochi tocchi da maestro come una bandana, una camicetta in pizzo inamidato di Manila, un gioco di sguardi nella redazione di “Vogue”. Come in un disegno di Escher, i falsipiani, le false prospettive, i giochi di specchi creano illusioni e inquietudini e solo all’ultima riga - quando esausti ci allontaniamo dall’edificio che abbiamo visto costruirsi sotto i nostri occhi per guardarlo a distanza - riusciamo ad apprezzare il magico, perfetto equilibrio su cui si regge apparentemente nel vuoto. Una perfetta bolla di cristallo che però si rivela essere un acquario dalle complesse dinamiche al cui interno si muovono lungo ingannevoli percorsi gli attori e i comprimari della democrazia americana nell’arco del ventennio che l’autrice identifica come quello della sua definitiva caduta.
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