Una città cresce, vive, si trasforma. Una città ferve di umori, di idee e passioni. Una città accompagna l’esistenza dei suoi abitanti, gli fa da sfondo ma il più delle volte ne determina la sorte. Una città tramonta insieme a tutta la sua civiltà sotto i colpi sferzanti della Storia, di una follia che evolve e ingigantisce.
Leggendo La melodia di Vienna di Ernst Lothar (Edizioni E/O, 2014) mi è passata per la mente l’immagine della “vecchia imbellettata” di pirandelliana memoria, una signora che per piacere ai più giovani si concia in modo ridicolo non avendone più l’età ma al tempo stesso questo suo ostinato non arrendersi allo scorrere del tempo commuove e intenerisce.
Questa era la Vienna, bella e opulenta nella Belle Époque, tremendamente invecchiata tra le due guerre ma che si sforzava di celarlo dietro le apparenze di scintillanti rituali e tradizioni, al suo ultimo giro di valzer allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, che ci racconta Lothar (Brno 1890-Vienna 1974) in questo suo libro a metà tra saga familiare e romanzo storico.
Poco conosciuto rispetto ai più noti scrittori e intellettuali dell’epoca quali Stefan Zweig, Mahler, Schonberg, Freud, Wìttgenstein, Schnitzler, Hofmannsthal, Joseph Roth, Ernst Lothar Müller, originario da una famiglia ebrea di lingua tedesca, si laureò in giurisprudenza ed esercitò la professione per un breve periodo nella burocrazia statale. Ben presto lasciò qualsiasi incarico per dedicarsi alla sua passione, la scrittura, e all’attività teatrale, lavorando prima al Burgtheater e poi al Theater in der Josephstadt quale successore di Max Reinhardt. Amico di Zweig, la sua casa alla Kochgasse divenne punto di incontro per i protagonisti dell’intensa stagione letteraria viennese. Nel 1938 l’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania, lo costrinse a riparare negli Stati Uniti.
È dal salotto alto borghese della casa della famiglia Alt, illustre palazzo di costruttori di pianoforti situato nel primo distretto della capitale austriaca tra la Seilerstätte e la Annagasse, che assistiamo al dilagare degli eventi, dalla morte dell’erede al trono Rodolfo al primo conflitto mondiale, all’ascesa del Nazismo.
Pubblicato per la prima volta nel 1944 negli Stati Uniti con il titolo originale The Angel with the Trumpet, il romanzo è stato tradotto in Italia solo nel 1982 con il titolo L’angelo musicante in riferimento al blasone, la chiave di volta, che sovrastava l’ingresso principale di Palazzo Alt al n.10 della Seilerstätte: ‹‹un angelo nudo del tipo che a Vienna era chiamato angelo musicante. Suonava una tromba dall’aspetto piuttosto strano. La sua canna lunga e sottile, che lo scalpellino aveva allungato quanto più aveva accorciato esageratamente il braccio nudo che la sosteneva, si drizzava verso l’alto come una lancia; neppure il disco sottile alla sua estremità contribuiva a conferirle l’aspetto di una tromba: sembrava piuttosto un’arma. L’angelo, del quale si vedevano l’ala destra e il corpo probabilmente più grasso che si fosse mai librato su compatte nubi di pietra, si rivelava invece un classico angelo barocco austriaco. Soffiava forte nello strumento, gonfiando le gote››.
La dimora di tre piani più un mezzanino fu costruita dal patriarca Christoph Alt nel 1790. Nel testamento ordinava ai suoi abitanti di non abbandonare la casa, pena la perdita dell’eredità. Quasi una condanna per qualcuno.
La casa dai toni cupi e dalle ampie stanze che né calore umano né alcun riscaldamento riusciva a scaldare, vede aleggiare lo spirito altero e severo della vecchia zia Sophie, unica superstite dei figli del costruttore e inquilina del primo piano, alle prese con il nipote Franz deciso a sposare la giovane ebrea Henriette Stein e segue le vicende di questi neo Buddenbrook per ben tre generazioni.
Confinata come da un decreto imperscrutabile nell’oscillare alternativamente nell’attesa della felicità o nel rimpianto, Henriette è la vera attrice principale della saga degli Alt. Una Madame Bovary altrettanto insoddisfatta ma meno autodistruttiva. Figlia di un intellettuale ebreo e osteggiata dai fratelli di Franz, cattolici e tradizionalisti, sposa Franz non certo per amore ma per puro opportunismo e per dimenticare la sua infatuazione per il principe ereditario che proprio il giorno del suo matrimonio decide di suicidarsi.
Seguiamo l’evolversi di questo personaggio, il più sfaccettato psicologicamente e segnato da un’effettiva maturazione determinata dai casi e sbagli della vita e della storia, inizialmente volubile e superficiale nei sentimenti, alla fine capace di riconoscere un affetto tardivo per il suo consorte e di ribellarsi alla furia violenta dei nuovi padroni nazisti con un moto d’orgoglio sconosciuto alla predominate vigliaccheria austriaca.
Le è affine d’indole l’amato figlio maggiore Hans, un uomo senza qualità con velleità politiche. Durante il primo conflitto mondiale, a differenza del fratello Hermann divenuto tenente e tornato in patria decorato, Hans verrà fatto prigioniero. Da reduce vivrà con sofferenza gli ultimi aneliti dell’Austria felix e si innamorerà di Selma, una giovane ebrea rappresentante del nuovo mondo moderno e più libero anche per le donne.
Anche se si posiziona sicuramente un gradino sotto i Buddenbrook di Thomas Mann cui chiaramente si ispira, La melodia di Vienna di Ernst Lothar è certamente un prodotto ingiustamente trascurato della letteratura mitteleuropea, un canto del cigno malinconico del mondo di ieri che aggiunge un tassello altrettanto accattivante, epico e originale all’affresco della stagione crepuscolare di uno fra i Paesi europei più importanti della storia.
(Ernst Lothar, La melodia di Vienna, trad. di Marina Bistolfi, Edizioni E/O, 2014, pp. 608, euro 18)