Dormire, forse sognare
Il mondo è pieno di gente che dorme in piedi o addirittura si addormenta, anche in pubblico, perché la notte non dorme. La parola insonnia, o per meglio dire il malanno si trascina dietro un che di generico e minaccioso perché quello che viene comunemente designato come sonno, questa «avventura sinistra di tutte le sere» (Baudelaire), è in realtà un universo a parte e perciò anche una variegata e curiosa risorsa narrativa, sonno vero, quindi, e sonno fasullo, corpi abbandonati o che si rigirano nel letto, lenzuola calde o fresche, stato di pre-veglia, Nrem e Rem, catalessi, psicofarmaci, respiro, sudore, risveglio, occhi rossi, per non dire la potenza dei sogni.
Una doppia vita, unesistenza parallela: quanto basta insomma a Roberto Tiraboschi per costruirci attorno un giallo, anzi un nero, comunque un romanzo - Sonno niente affatto soporifero. Cè un grande fiume del nord Italia, un ex manicomio, una coppia brevemente felice. Cè unaria umida e unumanità un po cupa, una strana morte, o forse due, e lindomita insonnia, appunto, che assedia il protagonista, un professore appassionato di pesci e attratto da misteri, presagi e schifezze. Ma soprattutto cè la clinica del sonno del dottor Celionati, immersa nel silenzio della montagna e ogni mattina ridestata dalle chiacchiere dei suoi infelici ospiti. È qui che la tensione fra la necessaria serenità terapeutica e il turbinoso svolgersi degli eventi alimenta sonnambulismi, parasonnie, esperienze paranormali e oppressioni spettrali.
Piano piano, la trama e la stessa scrittura di Tiraboschi slittano verso uno stato onirico, una specie di veglia elettrica in attesa del lampo che scioglierà il groviglio. Si legge bene e anche alla svelta. Merito di un narratore che si è caricato sulle spalle la sfida più temeraria e paradossale, quella di invitare il lettore stanco e tuttaltro che insonne a leggersi senza addormentarsi una storia sul sonno.